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Il Diavolo non è ancora in paradiso. Il distacco dalla Juventus capolista è da leggere come la mancanza dei rossoneri negli scontri diretti. In 7 incontri (tra Juve, Inter, Lazio, Napoli e Udinese) il Milan ha conquistato 5 miseri punticini sui 21 disponibili. La spiegazione è da ricercare nella mentalità di un Diavolo grande con le piccole e piccolo con le grandi, vero è che gli scudetti si vincono proprio con le meno nobili. Questa situazione nasce dalla voglia di equilibrio, dalla scelta maniacale dai tre mediani che snaturano un Milan sempre abile nella fase offensiva e nel possesso palla. Giocare da provinciale con le provinciali porta punti importanti perché fare a sportellate con compagini che vivono sull'agonismo porta i rossoneri a trovare il gol per la superiorità tecnica palesata nei 90 minuti. Questa mentalità non paga contro le grandi del campionato italiano. Imporre il proprio gioco è un 'must' presidenziale che viene meno da ormai due anni.
Se chi vince ha sempre ragione, torto ha chi non adempie al proprio dovere. Con la rosa superiore rispetto al resto della Serie A è impensabile aver abbandonato per strada tanti punti. Lenti, macchinosi e prevedibili, troppo spesso ci si appoggia sulle pur larghe spalle di Zlatan Ibrahimovic. La qualità in mezzo al campo viene meno con l'assenza di Aquilani, con la cessione di Pirlo e con lo scorrere delle primavere. Seppur grande campione e grande uomo, Seedorf non ha più lo smalto di qualche stagione fa (anche lui è umano). Affidare le geometrie a Van Bommel o addirittura ad Ambrosini è snaturare la loro caratteristiche più difensive che offensive e, limitarsi al passaggino, preclude giocate e verticaizzazioni più affini ad un Aquilani. Gli infortuni sono importanti per questo non possiamo sperare in un Muntari, anche perché i problemi più grandi sono in mezzo al campo.
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