Caro Pellegatti, meglio un'estate diversa

Caro Pellegatti, meglio un'estate diversaMilanNews.it
© foto di Pietro Mazzara
venerdì 1 giugno 2012, 00:00Editoriale
di Luca Serafini
Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: "Soianito", "La vita è una" con Martina Colombari, "Sembra facile" con Ugo Conti.

Mentre il presidente del consiglio, il presidente della Figc e il capitano della Nazionale continuano la loro gara delirante sotto i primi caldi della stagione, facendo a chi spara la cazzata più clamorosa (e se la giocano gomito-gomito, un duello che sarebbe entusiasmante se non procurasse disgusto), il mercato entra nel vivo terrorizzandoci al pensiero che siamo al 1° giugno e che finirà soltanto il 31 agosto. E il terrore coinvolge non pochi milanisti, la squadra dei quali è stata paragonata a un supermarket da Sport Mediaset, ma a un’isola felice da Carlo Pellegatti nel suo editoriale di ieri da queste stesse colonne.
Chiarito che un supermercato è dove i prodotti vengono offerti al ribasso perché in stock e non necessariamente di qualità scadente (tutt’altro), l’accostamento più felice da parte dei colleghi di famiglia sarebbe stato una boutique per pochi, come Tiffany, Bulgari eccetera, luoghi esclusivi dove puoi trovare pezzi di antiquariato preziosi, gioielli, perle, anelli, collane che nei bazar di Inter e Juventus, tanto per fare dei nomi, non trovi nemmeno dopo un’eventuale accuratissima perquisizione. Thiago, Ibra, Robinho, Boateng, Cassano sono in cassaforte: se entra un pirla qualsiasi, non può nemmeno dargli un’occhiata. Se entrano Rosell o Perez o qualche emiro o sceicco, o qualche magnate o petroliere, beh, a loro noi faremmo vedere anche nostra sorella. Un’occhiata non costa niente. Poi però, l’articolo interessa, vogliamo vedere i cammelli...
Carlo invece è un amico da 30 anni, un Peter Pan talebano che crede nella poesia del calcio, dei suoi valori, delle favole in campo e fuori. In questo è sincero, è spontaneo, non posso dire non sia zerbinato né servo del padrone perché – come ben sapete – di quella categoria facciamo parte in Italia soltanto lui, Mauro Suma e il sottoscritto, tutti gli altri, tutti, sono liberi indipendenti agnostici puri trasparenti obiettivi imparziali. Carlo è innamorato di Berlusconi non perché sia il suo datore di lavoro, ma perché gli (ci) ha regalato 26 anni di viaggi, vittorie a tutte le latitudini, campioni, trofei, sogni, siamo diventati tutti importanti anche grazie al Milan. Se in questi 26 anni con gli stessi risultati, il presidente del Milan fosse stato il sciur Brambilla delle coltellerie padane o il pover sciur Nardi delle cucine, per Carlo sarebbe stato lo stesso. Per questo abbiamo letto con affetto fraterno il suo articolo di ieri, non condividendo nemmeno una riga.
Non siamo scemi, non viviamo nel Paese dei campanelli, sappiamo, vediamo che il mondo va a rotoli e ci sono troppi problemi più importanti del Milan, nella vita. Sappiamo e vediamo che Berlusconi ha altri problemi in famiglia e sul lavoro. Però è strano che Carlo non ricordi le estati di Giovanni Galli, Donadoni, Massaro, Ancelotti, Gullit, Rijkaard, Van Basten fino Weah, Baggio, Savicevic, Papin, e poi Nesta, Inzaghi, Rui Costa, Rivaldo, Kakà e le torte sfilate dal piatto dell’Inter con Seedorf e Pirlo, le suppliche di Riccardo Ferri, Zenga, Puyol, Ibra (2006) e Buffon (già, Buffon, pure lui, 2006 e 2007) per vestire il rossonero. E’ strano che non ricordi che quando arrivavano a chiedere Baresi o Maldini (la Juve, più volte) Galliani rideva a crepapelle più che per le battute di Bebo Martinotti. E’ strano che Carlo dimentichi come dal 2006, tutto ciò che è mercato-Milan è scritto, diretto e interpretato da Adriano Galliani, il quale ha dovuto allestire un cast non più con Florentino Perez ma con Preziosi per poter sbarcare il lunario. L’unico input del presidente è che i soldi (di Fininvest) ci sono soltanto per ripianare i bilanci.
Beckham, Ronaldinho, Van Bommel, Robinho, Boateng, Ibrahimovic e Cassano non sono stati acquisti in senso tradizionale, ma opportunità dettate anche dal periodo storico del momento, in chiave elettorale soprattutto, per cui Galliani è riuscito ad avere persino qualche soldo non solo per Ibra, ma anche per Pato e Thiago Silva, gli unici 2 veri acquisti di questi anni in cui – non scordiamolo mai – se n’è andato per la prima volta nella storia di questo club, il suo miglior giocatore, l’uomo immagine, l’idolo di ragazzi e ragazze: Kakà. Poco importa che poco dopo sia tramontato.
Scriviamo queste righe con rabbia e rimpianto, perché ricordiamo che in Olanda per prendere Gullit, a Bergamo per prendere Donadoni, Berlusconi ci andò di persona. E ci viene il sospetto, fortissimo, fondatissimo, zerbinatissimo, schiavissimo del padrone, che forse anche oggi, 26 anni dopo, se fosse Silvio Berlusconi ad alzarsi dalla sedia di Arcore o peggio ancora di Roma, e andasse a Segrate alla Mondadori, a Cologno Monzese a Mediaset, in via Turati al Milan, spostando nei corridoi con gentile fermezza figli, amici, conoscenti, management e colletti bianchi vari, le cose migliorerebbero alla svelta.

Una piccola postilla: mercoledì abbiamo pubblicato sul quotidiano IlVostro.it una nostra intervista a Roberto Donadoni. Tra le molte gocce di saggezza, ci ha detto: "La storia delle 3 stelle della Juventus è rinnegare una sentenza, vuol dire concedere a tutti la possibilità di contraddire le regole, ignorarle, passarci sopra. Le cose prenderanno una piega diversa soltanto quando si rispetteranno regole e sentenze a tutti i livelli. Non è quando si parla di avvisi di garanzia che si parla del nulla: è quando si parla delle 3 stelle della Juventus, che parliamo del nulla".
E stiamo ancora qui a indignarci per lo scandalo-scommesse o per i deliri di Monti, Abete e Buffon...