Oltre ogni limite...
Voci che susseguono, attese che si prolungano e che lasciano senza respiro. Annunci che si attendono, speranze che si affievoliscono, fatti che si cercano ma non arrivano, certezze che crescono, di pari passo con una delusione che tutto sommato conosciamo già e che non possiamo più evitare. I fiori all’occhiello dell’ultimo Milan, Thiago e Ibra, sul piede di partenza: corteggiati, ammaliati, accecati dal bagliore di un contratto plurimilionario e dagli occhiolini di un club ricco e ambizioso. La prima domanda che viene da porsi è: cosa ci delude di più? L’addio di Thiago o quello di Ibra? D’impatto diremmo quello di Thiago, riflettendo diciamo quello di Ibra. Perché per quanto ammetterlo sia difficile, stiamo vivendo gli stessi sentimenti provati dai tifosi di Juve e Inter (non Barcellona), nei famigerati quanto stupidi giorni del “mal di pancia” dello svedese. Lo detesti quando te lo ritrovi contro, lo adori quando lo vedi giocare con la tua maglia, lo detesti più di prima quando lo vedi voltarti le spalle senza batter ciglio, uscendo dalla porta principale con lo sguardo fisso verso un ingaggio che, se accordato, avrebbe dell’assurdo e non solamente per la decenza umana. Ma il punto, a ben vedere, non è questo: è inutile continuare a raccontarci la barzelletta dei giocatori affezionati e delle bandiere che non ci sono più: non è proprio il caso, soprattutto se per un attimo si volge lo sguardo appena fuori dai confini del calcio italiano. Si scopre un mondo che gli sceicchi e i grandi investitori di tutto il pianeta stanno, in un modo o nell’altro, colonizzando.
Investono in Germania, in Inghilterra, in Spagna, perfino in Francia, ma nessuno di essi è sfiorato dall’idea di “puntare” sul nostro paese. Il Belpaese, quello delle spiagge, della cucina eccezionale, delle belle donne e del buon vino, non è un paese per sceicchi: non è la terra dove coltivare le proprie fortune. Vale in piccolo per i giovani che faticano a crearsi un futuro, ma anche in grande per chi di soldi da investire ne ha. Cosa ci delude di più? Lo sguardo al futuro del nostro calcio, che ora come ora non può competere con quello europeo. Non può ignorare la possibilità di incassare – tra cessioni e ingaggi risparmiati, come nel caso del Milan – qualcosa come 220 milioni di euro. Non può piegarsi di fronte alla gastrite di un 31enne a cui non bastano 12 – dico dodici – milioni di euro all’anno. A tutto c’è un limite. Vale anche per la fama.
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