...Sentirsi un 10 e lavorare come un 8: KPB dovrà adeguarsi
Il numero 10 in una squadra di calcio è sempre qualcosa d’importante, quello che individua il giocatore di fantasia per antonomasia, al Milan fu indossato da Gianni Rivera (esponente massimo in rossonero di quello che rappresentano quelle due cifre accostate), passando poi per le spalle larghe ed i piedi talentuosi di giocatori quali Gullit, Savicevic, Boban, Rui Costa e Seedorf.
Oggi quella maglia così pesante è di proprietà di Kevin Prince Boateng, simbolo di un giocatore che nel Milan è diventato leader, per forza di cose essendo uno dei pochi campioni (o aspiranti tali) rimasti a Milanello dopo l’esodo dell’estate che si avvia alla conclusione. Un’eredità importante per il ghanese che con quella scelta ha voluto mostrare di non temere paragoni, di sentirsi guida per il nuovo Milan di Allegri e magari dando un chiaro segnale sul ruolo che preferisce ricoprire.
Ecco, quest’ultimo punto però apre a parecchie considerazioni, perché se è vero che da due anni la posizione ricoperta da KPB è senza dubbio quella del 10, allo stesso tempo il Principe rossonero non incarna esattamente il prototipo del fantasista. Boateng è un trequartista moderno, forse unico nel suo genere, dotato di piedi buoni, ma non della fantasia e della tecnica dei suoi predecessori, dal fisico imponente e l’esplosività disarmante.
A dir la verità il ghanese non nasce fantasista, anzi viene impiegato per tutta la carriera a centrocampo, con la licenza d’offendere certo, ma pur sempre da mezz’ala o da esterno. Nel Ghana, durante il mondiale 2010, viene impiegato quasi a ridosso delle punte in un centrocampo a 4 (non propriamente un rombo), poi l’approdo al Milan. Allegri lo prova da mezz’ala sinistra, ne apprezza l’impressionante dinamismo, ma non è convinto dall’applicazione a livello tattico di un ragazzo forse troppo irruento e votato più ad offendere che a contenere. Per questo il livornese, complici anche gli infortuni, lo prova trequartista e scopre un giocatore che abbinato ai movimenti di Ibrahimovic e Robinho sembra devastante. Da quel momento Boateng si sente 10 ed Allegri lo asseconda, ottenendo ottimi risultati in un impianto di squadra in cui il Boa trequartista sembra essere incastrato perfettamente.
In molti si sono chiesti quale sia il ruolo più congeniale a questo giocatore atipico, a guardarlo sembrerebbe una mezz’ala pura, ma ha un rendimento sulla trequarti, in termini di incursioni ed eccellenti doti in fase conclusiva, che sembrerebbe di sprecarne le qualità arretrandone il raggio d’azione.
Dall’altro lato, però, la carenza tecnica di un centrocampo rossonero che può contare sul solo Montolivo per elevare il tasso qualitativo della mediana, spinge ad immaginare un cambio di modulo per un Milan che non può più contare sulle doti da play-maker di Thiago Silva e le invenzioni di Ibrahimovic, loro che hanno sopperito per due anni alle mancanze del Milan. Ed ecco che inizia a comparire all’orizzonte l’ombra di un tridente d’attacco, unica maniera per garantire qualità offensiva aumentandola sugli esterni. Certo, però, Boateng non è un attaccante esterno, tantomeno una prima punta (ci perdonerà il presidente Berlusconi) ed allora, vista l’importanza di questo giocatore per il diavolo, non resterebbe che spostarlo in mediana, magari a lavorare al fianco di De Jong e Montolivo per un terzetto di centrocampo che appare molto più che ben assortito.
L’alternativa potrebbe essere il 4-2-3-1 che sembra andare molto di moda negli ultimi anni (votato anche dai nostri lettori), che garantirebbe al ghanese di operare nella zona di campo preferita, ma, allo stesso tempo, comporterebbe uno sforzo in fase di ripiegamento importante tanto per lui quanto per i due esterni.
In ogni caso, il nuovo Milan che sta nascendo avrà bisogno di giocatori pronti al sacrificio, unica maniera per sopperire alle carenze tecniche ed alla distanza rispetto ai top club europei. La Juventus campione d’Italia l’anno scorso ha mostrato che molto si può fare con la duttilità, il sacrificio di tutti e l’organizzazione di gioco. Ad Allegri il compito di trovare la formula giusta e, soprattutto, di convincere il Principe ghanese a fare un lavoro diverso, a dimenticare il numero che indossa e mettersi al servizio di una squadra che ha bisogno della sua corsa oltre che del suo talento in fase conclusiva.
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