Antonio Conte: tanto rumor per 1 mese. Quel Del Piero in esilio e gli stenti con lo Shaktar. El Shaarawy, due volte grazie Kakà. Dal derby di Leonardo al derby di Cassano
Mesi laceranti, venti di scisma, proclami su una giustizia sportiva ingiusta e arretrata. Trasmissioni televisive in cui qualche supertifoso bianconero invitava il presidente Agnelli a non andare a Pechino per la Supercoppa e a cercarsi un altro Campionato in cui giocare. Tutto questo, per 1 mese. Letto bene, 1 mese. Un solo mese di differenza fra il patteggiamento (altro che trappola!), pattuito non bene fra il Procuratore federale e i legali della Juventus e che il presidente della Commissione disciplinare Sergio Artico non poteva accettare. Alla fine è un pareggio. Antonio Conte segna un punto perché chiude la vicenda e fra due mesi potrà tornare in panchina, dando un senso compiuto alla sua stagione. Ma prende gol, per il fatto che la questione si conclude comunque con una condanna. Di quattro mesi e non di dieci, ma pur sempre condanna: l'omessa denuncia resta e non viene cancellata. Resta il rimpianto per tutto quel casino che si sarebbe potuto evitare se, al momento del patteggiamento, le parti in causa avessero fatto meglio i conti. Non era difficile: tre mesi per ciascuna omessa denuncia, tre per due sei, meno due mesi di sconto per la scelta del patteggiamento, risultato finale quattro mesi come quello di ieri del Tnas. Si è scelta invece la via più tortuosa. Ovvero il giudizio con l'omessa denuncia per una sola partita ma con una condanna della stessa durata della precedente e via polemizzando. Avremmo avuto 'sti benedetti quattro mesi subito e ci saremmo risparmiati mesi e mesi di sfoghi, di nervosismi mediatici, di parole avventate. Si sarebbe reso un buon servizio al calcio italiano, già provato da scandali e violenze verbali di ogni tipo. A Conte non farà piacere non sedere in panchina per l'intera fase a Gironi di Champions League della sua squadra, ma festeggerà il Natale in panchina con i tifosi attorno a lui. Anche qui, è uno a uno. Palla al centro e non parliamone più. Della solita panna montata italiana, in cui la giustizia soprattutto sportiva è più urlata che amministrata e più terreno di lotta per bande che nobile arte in punta di diritto, non sentiremo la mancanza.
Il sorriso tenero e apparentemente sereno di Alessandro Del Piero a Sidney, nell'intervista ruspante senza sponsor e senza addetti stampa, fatta all'aeroporto prima di partire per Wellington per l'esordio di Campionato in Nuova Zelanda, stride. E fa a pugni con le sofferenze bianconere al cospetto dello Shakhtar, in quella Champions League che è sempre stata il regno di Alex. La differenza fra il 2-1 alla Lazio nel finale dello scorso Campionato e l'1-1 di martedì sera in uno Juventus Stadium non pienissimo, è proprio lui, è Del Piero. E' mancata la sua punizione scaccia-problemi, la sua zampata nelle partite di qualità, nelle competizioni raffinate che sono sempre state il suo pane. Altro che Sidney! Un Altafini europeo dei giorni nostri, un Del Piero da liberare sul campo nelle fasi più delicate delle notti intricate di Champions League avrebbe fatto un gran comodo alla Juventus, eccessivamente euforica per un pareggio a Stamford Bridge (dallo 0-2) contro un Chelsea privo di Drogba e perfettamente cosciente di non poter mai bissare la manna (tanta) della scorsa Champions League.
Il Milan ha dato tanto a Kakà, ma anche Kakà non scherza. Quando Riccardino ha vinto lo Scudetto al Milan nel 2004 (e il Milan Campione d'Europa in carica post-Manchester non l'avrebbe vinto senza di lui), la squadra rossonera non conquistava il tricolore da 5 anni. Quando il Milan è riuscito a tirar fuori la testa dall'infame arancia meccanica di Calciopoli, è stato Riccardino a guidare la squadra al trionfo europeo di Atene nel 2007. Quando Kakà è stato ceduto al Real Madrid per la cifra non molto modica di 67 milioni di euro, il Milan ha salviato il suo bilancio. Ed eccoci ad oggi. Ci sono ancora ringraziamenti da fare a Kakà. E riguardano tutti e due un certo Stephan El Shaarawy. Il Faraone che saluta la compagnia e va in porta è oggi al Milan grazie ad una intervista-professione di fede dell'Estate 2011 in cui dichiarava il suo amore per Kakà e per il Milan, la squadra del suo cuore. Adriano Galliani, che è sensibilissimo in queste cose, è passato dall'intervista al contratto in tre giorni. Ma Stephan non solo è al Milan grazie a Kakà. Sarebbe troppo semplice. Il fatto è che se Kakà quest'estate fosse tornato al Milan, forse El Sha, come lo chiamano a Milanello, non avrebbe avuto tempo e spazio per esplodere. Non vuole essere un grazie irriverente nei confronti di un fuoriclasse, non vuole essere un meno male che è rimasto a Madrid, certo che no. E' invece la dimostrazione pura, ovvia e semplice che le vie del calcio sono davvero infinite. E che un cerchio di mercato che non si chiude concede spazio vitale ad un giovane che aveva bisogno di tutto tranne che di una strada sbarrata dal suo stesso idolo.
Quella del 2 Aprile 2011, con tutto lo stadio ululante e la coreografia sul Giuda, era la rappresentazione di un amore tradito. I tifosi del Milan, in 13 anni, si erano innamorati di Leonardo, per lui avevano criticato e messo alla berlina il loro Presidente, avevano creduto alle sue commozioni e davano per scontato che per lui in Italia ci sarebbe stato solo il Milan. Non fu così e Leonardo, che si sentiva libero di seguire le strade della sua professione, provò sulla sua pelle cosa significa fare invece i conti con lo zoccolo duro del calcio: il sentimento, il cuore, il tumulto dell'anima. Lotta impari e infatti Leo la perse 3-0 con lo Scudetto al Milan del 2011. La domanda oggi sorge spontanea: cos'è oggi Antonio Cassano agli occhi dello Stadio tutto rossonero del 2 Aprile? Azzardo una risposta: non è la stessa cosa. Il tifoso milanista ha apprezzato e incoraggiato Cassano, ma non lo ha mai amato. Né lui, pur spontaneo e professionale, ha mai fatto qualcosa di speciale per farsi amare. C'è stato il ricovero in ospedale e la solidarietà per l'operazione, ma è un fenomeno diverso dalla scintilla dell'amore che può nascere solo sul campo. No, qui non c'è l'amore tradito. C'è semmai il tradimento senza amore. Una storia contrattuale sbandierata per screditare la dirigenza del Milan che, con tutta Milanello, aveva riportato due volte Antonio in Nazionale. Il Milan lo ha accolto e curato, guarito e valorizzato, e il risultato finale di tutto questo è quella conferenza stampa lì?! E' la miscela del pensiero della gente rossonera che caricherà lo Stadio tutto rossonero del 7 Ottobre 2012. La partita avrà la sua storia, ma la reazione chimica sarà tutta su Antonio Cassano e si riverserà su di lui esattamente come avvenne diciotto mesi fa su Leonardo.
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