Parla Capello: "Alcuni allenatori delle giovanili meritano la galera. E quanti stranieri nel nostro campionato"
Reduce dalla deludente spedizione russa in Brasile, Fabio Capello concede una lunga intervista a Gazzettaregionale.it nel pieno delle sue vacanze a Pantelleria.
L'allenatore si concentra soprattutto sulla situazione del calcio giovanile in Italia. E le sue sono parole di fuoco: "Il settore giovanile deve essere una grande fucina di giocatori e per fare questo bisogna insegnare più tecnica che tattica. Perché alla velocità a cui si gioca oggi ci vuole grande, grande tecnica. Questo è emerso chiaramente al Mondiale. Mi capita di vedere allenatori che a bambini di dieci, undici anni, insegnano la tattica. Penso che questi personaggi andrebbero messi in prigione, perché ai piccoli devi insegnare la parte ludica facendo sì che migliorino nella tecnica. Ma siccome è molto più facile insegnare la tattica... Ecco il vero problema del settore giovanile".
Anche il dilagare di stranieri nel campionato italiano, che successivamente ha contagiato i vivai locali, ha fatto la sua parte: "Intanto ci sono tantissimi stranieri e pochi di questi hanno fatto quel salto di qualità che ci si aspettava. Questo nonostante i settori giovanili italiani abbiano sempre fatto buonissime cose. Poi direi che è fondamentale puntare su allenatori che hanno passione e pagare bene quelli bravi per quello che producono. Se non vengono remunerati nel modo giusto cercano altre strade, poiché in questo settore normalmente non pagano molto. Parlo per esperienza personale, perché ho fatto sei anni di giovanili al Milan. Troppe volte si predilige la parte fisica e non quella tecnica, si cerca la velocità e non l'intelligenza tecnico - tattica. Evidentemente queste scelte non hanno dato risultati".
Ormai la Germania è un punto di riferimento. E' possibile emularla: "Tutti i progetti sono attuabili, ma ci vuole la gente. Servono persone che seguano queste cose per anni, serve continuità. Se ogni due anni cambiamo, non creeremo mai nulla - replica Capello - Ci vuole una direttiva, un modo di pensare, una filosofia tecnico-tattica e lavorare su questa. Poi c'è anche un'altra verità: ci sono momenti in cui nascono talenti e altri momenti no. L'esempio più lampante è il Belgio: pochi anni fa era scomparso, ora ne ha diversi. Anche se, la nuda verità, è che in Italia non fanno giocare i giovani. Personalmente come allenatore della nazionale inglese ho fatto giocare dodici calciatori che orbitavano intorno ai venti anni. All'ultimo Mondiale ce n'era solo uno nuovo che io non avevo convocato. Una scelta dovuta al fatto che già giocavano in Premier League; da noi conoscete una squadra che schiera ragazzi di diciotto anni? Nessuna. Dei vicecampioni europei in Israele, per esempio, c'è solo Insigne che mi venga in mente. Da cosa dipende? O gli allenatori delle prime squadre non hanno il coraggio, o non riescono a vedere il talento. Perché il talento lo vedi, anche se può sbagliare una o due partite".
A questo punto Capello racconta un aneddoto successo ai tempi delle giovanili rossonere: "Allenavo la Primavera del Milan ed eravamo impegnati in trasferta contro il Torino di Vatta. Nella mia squadra giocava Paolo Maldini che aveva sedici anni. Dopo il match mi raggiunge un mio collega, al tempo vice di Gigi Radice e mi chiede: ma tu fai giocare Maldini perché è il figlio di Cesare? Ho risposto che intanto mi stava offendendo e che ne avremmo riparlato presto. La stagione seguente era titolare in Serie A. Questo per dire che quando c'è il talento a sedici anni lo vedi e può giocare con calciatori di diciotto, diciannove. Quando sono andato al Real Madrid c'erano Raul e Guti diciannovenni e Victor appena maggiorenne: tutti titolari! In Italia quando vedi una cosa del genere? Mai".
Il rincorrere modelli stranieri è davvero la strada migliore per uscire dalla crisi? Non ritiene sia più adatto creare un modello tutto nostro considerato che per decenni abbiamo rappresentato l'eccellenza europea?
Il modello per ripartire deve provenire dall'estero. "Bisogna copiare. Copiare dalla Spagna, copiare dalla Germania, imparare e sviluppare un modello nostro a seconda delle caratteristiche che abbiamo - continua Capello - La Spagna per esempio la conosco bene, la loro è una filosofia di gioco fatta di passaggi, noi abbiamo altre caratteristiche. Bisogna saper mixare e creare un progetto. Le squadre B dovrebbero essere assolutamente obbligatorie anche nel nostro paese. E' la squadra per permettere a chi ha diciotto anni di confrontarsi a un livello competitivo vero. Sfidano squadre di Serie B, che li impegnano in un modo totalmente diverso, quindi la crescita è diversa. Esportarle in Italia? Ma cosa volete farci? Noi siamo quelli della burocrazia, quelli che hanno difficoltà nel prendere decisioni, quelli che guardano nel proprio orto. Bisognerebbe creare un comitato ad hoc che decidesse per il bene del calcio".
Capello non stila una tempistica sul possibile riscatto del movimento Italia, ma ne elenca gli ingredienti: "Credo che dovrei riassumere tutto il discorso precedente: programmazione, lavoro, allenatori ben remunerati e soprattutto una società che creda in queste cose. A parole lo fanno tutti poi al momento dei fatti...".
In ogni caso Fabio Capello non darà il suo contributo: "No, ho altri problemi per la testa... Ho altri problemi (ride, ndr)".
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