Maldini e gli anni da dirigente: "Ho cercato di supportare i giovani. C'è grande pressione, le proprietà straniere..."

Maldini e gli anni da dirigente: "Ho cercato di supportare i giovani. C'è grande pressione, le proprietà straniere..."MilanNews.it
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giovedì 27 giugno 2024, 20:10Gli ex
di Enrico Ferrazzi

All’AKOS podcast by Luca Gemignani, Paolo Maldini ha raccontato: 

Sugli infortuni: “Ho sempre avuto un pochino di fastidio ai rotulei, come poi i miei due figli sono cresciuto in un’estate, classica cosa che poi ti porti dietro. Nell’82-83 c’erano pochi strumenti per migliorare. Io ho iniziato a fare lavoro in palestra serio nel 98-99, quindi a 30 anni, prima la palestra mai toccata. Noi fino agli anni 2000 non abbiamo praticamente mai usato la palestra. Facevamo tutto con salite, discese, bosco, balzi. Si usava veramente poco. Poi naturalmente la conoscenza ci ha portato a capire, io a 30 anni mi sentivo come se mi mancasse benzina e nel momento che ho toccato la palestra, la forza sono esploso ancora fisicamente in maniera impressionante. I miei migliori anni a livello personale dal punto di vista tecnico e fisico sono stati nel 2002-2003 e 2003-2004, avevo 35 anni e sinceramente me la giocavo in velocità con qualsiasi giocatore dal punto di vista anche della tenuta, ho giocato sempre, tecnicamente e a livello di personalità ero meglio che a 20 anni. Quando si sa che l’uomo verso i 30 anni perde un po’ di forza, devi integrare con un lavoro diverso e questo è quello che è successo. Era sbagliato non fare niente prima, ma non lo sapevamo. Cartilagini? Certi lavori possono determinare questo problema ma secondo me il mio problema è dovuto al fatto di aver giocato così tanti anni da professionista, 1,87-88 per 87 chili avevo grandi esplosività, facevo delle grandi frenate, non è poco… avevo una struttura muscolare molto forte e le mie caratteristiche erano quelle del velocista che inchioda e riparte. Questo sulle articolazioni non fa benissimo. Io ho fatto il ginocchio destro e sinistro a distanza di due anni l’uno dall’altro. E ai tempi si facevano ancora le microfratture: con le nuove tecniche avrei forse avuto meno problemi nel post carriera se fossi riuscito a mantenere un po’ di spazio nelle ossa per buttar dentro qualche prodotto che mi avrebbe dato sicuramente un sollievo”.

Sul lavoro: “Senza saperlo mi sono fatto gli anticorpi, perché il fatto di non anche solamente il fatto di non fare niente durante l’estate, anche se mi dicevano devi lavorare, io non facevo niente e così facendo il mio corpo si sanava un pochino. Poi cosa facevo, ripartivo e nella pre stagione sapevo che avrei sofferto più degli altri ma lì sviluppavo la capacità di soffrire e comunque di reagire. Perché poi comunque dopo cinque giorni dovevo andare a giocare contro il Manchester ad esempio, e io non voglio perdere. Ho cercato a volte anche involontariamente delle contromisure a questi problemi che uno deve affrontare. Non c’era neanche tanta attenzione verso questo tipo di cose, tu eri un giocatore dovevi fare quello che ti dicevano e basta. Poi l’individualità del calciatore era un po’ sottomessa a quella che era l’importanza della squadra: io dico sempre che la squadra è più importante del calciatore singolo, ma le individualità difficilmente venivano fuori come vengono adesso”.

Sui momenti di difficoltà: “Li ho dovuti gestire da solo, se non con l’aiuto della mia famiglia. Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando molto bene quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani di 19, 20, 21, 22, 23, 24 anni,  senza ancora una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere che arrivano non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo affrontare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con chi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel al proprietario, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.