I retroscena con Guardiola, il rapporto con Mino, l'infanzia difficile, l'educazione dura del papà: Ibrahimovic si racconta senza censura

I retroscena con Guardiola, il rapporto con Mino, l'infanzia difficile, l'educazione dura del papà: Ibrahimovic si racconta senza censuraMilanNews.it
© foto di DANIELE MASCOLO
venerdì 6 ottobre 2023, 14:00Primo Piano
di Manuel Del Vecchio

Zlatan Ibrahimovic, leggenda rossonera e mondiale, è stato ospite del giornalista britannico Piers Morgan, per l’ormai famoso format “Piers Morgan Uncensored”. Questa la trascrizione e la traduzione di tutta la lunghissima intervista ad opera esclusiva di MilanNews.it.

Come stai? “Sto bene, grazie”.

Non potevo trovare un ospite migliore per “Piers Morgan Uncensored”. “Sono la persona perfetta per te”.

Ti senti di essere sempre stato senza censure? “Sento di essere stato sempre me stesso. La gente pensa che io possa fingere o cose del genere, ma penso che giusto o sbagliato che sia io sono me stesso ed è la cosa più importante”.

Arriverò a vedere il vero te in questa intervista? “Al 100%”.

Ti sei appena ritirato. Com’è la tua vita ora? “Mi sono ritirato tre mesi fa. L’ho accettato, alla fine non mi sentivo bene. Potevo anche continuare, soffrendo fisicamente, ma volevo sentirmi bene e non volevo avere conseguenze al termine della mia carriera, arrivando a non poter fare cose con i miei figli per esempio. Quindi ho scelto di fermarmi, e penso di averlo fatto nel momento giusto. Ma se devo essere onesto quando vedo gli altri attaccanti molto avanti con l’età che ancora giocano penso di poter giocare ancora, farei molto di più di quello che fanno loro. E non è una questione di ego, sono fatti. Nomi? Potrei dartene tanti, probabilmente il 95% degli altri attaccanti”.

Pensi di essere più forte del 95% degli attaccanti? “Non lo penso, lo sono (ride, ndr)”.

Come ti fa sentire il non avere più a che fare con le folle di tifosi negli stadi? “Penso che non ne ho bisogno. Ho giocato per 25 anni di fronte a 90mila persone. Le ho fatte saltare, esultare, fischiare, odiare, amare… Non sono così egocentrico da avere l’esigenza di avere questo tipo di attenzioni ora. Sono chi sono, sono ricordato per quello che ho fatto in campo, non cerco attenzioni e cose del genere. Altrimenti avrei scelto di fare il commentatore, l’opinionista, tutte queste cose che fanno gli ex calciatori. Lo fanno perché hanno ancora bisogno di questo tipo di attenzioni, ma li capisco. Quando sei in campo ti senti vivo, senti l’adrenalina, l’erba, i duelli, il calore, l’atmosfera. Poi dipende anche dal tipo di giocatore che sei: quando sono in campo io sono molto emotivo, cambio da una cosa all’altra. Ora è differente, vivo una vita normale”.

Cosa vuoi fare ora? “Faccio molte più cose ora di quando ero in attività. Faccio collaborazioni, sono coinvolto in diversi progetti. Sono curioso per quanto riguarda fare l’attore. Ho passato una vita davanti alle telecamere, non sono timido. Ma non so se sono un bravo attore, non penso”.

Ti vedrei nella parte del cattivo in un film di James Bond: “Distruggerei James Bond e lo seppellirei da qualche parte un paio di metri sotto terra (ride, ndr)”.

Quando sorridi sembri una persona affabile, ma quando sei serio…: “Per il mio inglese sembro un mezzo russo criminale (ride, ndr). Comunque sono curioso (sul provare a fare l’attore), perché no? Voglio provare cose differenti”.

Durante il tuo addio al calcio a San Siro, molto commovente, hai risposto anche ai tifosi del Verona che ti fischiavano dicendo: “Continuate, questo è il momento più importante della stagione”. Mi è piaciuto molto: “Lì ero me stesso. Applaudi, fischi, in ogni caso per loro era il momento dell’anno: vedermi non capita a tutti. In questo modo me la sono goduta. Se ti fischiano o parlano male di te è perché sei il numero uno”.

Giocavi meglio in casa, con i tuoi tifosi, o in trasferta, sommerso di fischi? “Quando giochi ai livelli più alti hai bisogno di trovare degli stimoli particolari. Quando ti abitui ad una cosa non riesci più ad esserne stimolato allo stesso modo. Per me era tutto sull’essere stimolato, avere adrenalina. In casa, potevano essere i tifosi o gli avversari, ma avevo bisogno di qualcosa che mi attivasse: da lì diventavo più presente. Devo ammettere però che in trasferta mi sentivo vivo. Ad esempio contro l’Inter, che è comunque casa mia perché San Siro è il mio stadio, in 90mila che ti fischiano… Mi sentivo vivo”.

La tua vita è stata una lotta continua: “Vero. Anche se non sono in una situazione del genere la vado cercando, è un qualcosa che mi dà adrenalina. Da dove arrivo io era una questione di sopravvivenza, il più forte andava avanti. Per sopravvivere devi essere duro e dimostrarlo. Questo l’ho portato anche nel mio modo di giocare. Alcune volte è andato contro di me, altre volte mi ha dato vantaggi. E giù i media a criticare, criticare, criticare. Ma questo sono io. Se non fossi stato così non sarei qui a parlare con te. Ho molta esperienza davanti ai media, non ho paura di dire quello che penso e fare quello in cui credo. Se poi mi buttano merda addosso… Non fa niente. Questo sono io. Non ho bisogno di essere perfetto per gli altri. Se sei te stesso sei già perfetto. Fai errori e impari dai tuoi errori. È importante essere sé stessi. Sono andato in America e ho partecipato a qualche grosso talk show. Mi chiedevano del mio entourage, dicendo che di solito attori e ospiti importanti arrivano con una ventina di persone al seguito. Allora gli ho detto: “Ma vuoi me o il mio entourage?”. Non ho bisogno degli altri per la mia immagine, basto io. Per questo dico sempre: “Essere perfetti vuol dire essere sé stessi”. E se mi arrabbio vuol dire che sono me stesso, ne ho bisogno. Ed è così che tiro fuori il meglio, quando cammino sul fuoco. Quando gioco lo faccio per vincere, e faccio di tutto per farlo. Se vinco è la prova che sono vivo. Da dove arrivo era così. Ci sono state situazioni in cui dei miei compagni di squadra non reggevano questa cosa e piangevano davanti a me, ma non importa. Io sono qui per vincere. Ho giocato in tre dei cinque top club mondiali, e se non avessi fatto il mio lavoro mi avrebbero sostituito con qualcun altro. Non sono qui per essere buono o cattivo, sono qui per vincere. E per vincere ho bisogno di trovare questi stimoli che mi tirano fuori il meglio”.

Parli di Malmo come un ghetto, un posto difficile. Dici che puoi portare via un ragazzo da Rosengard, ma non puoi portare via Rosengard da quel ragazzo. Cosa intendi? “Intendo che io posso anche andare via dal ghetto, ma il ghetto mi rimane comunque dentro. Sono sempre quel ragazzo anche se non sono più lì. Il posto in cui nasci rimarrà sempre dentro di te. Non cambierei mai per il successo, non cambierei mai qualunque cosa mi capitasse. Sarò sempre lo stesso ragazzo. Non è che se ora compro una bella casa in una zona da ricchi divento come loro. No, sono sempre me stesso. È importante rappresentare il luogo da dove vieni. Poi ovvio, devi avere disciplina, rispetto, educazione. Non puoi essere un animale”.

Pensi di essere stato d’ispirazione per i giovani che si trovavano in una situazione come la tua? “Al 100%. Non ci sono tanti calciatori con un background come il mio. Sono felice di essere andato a sbattere contro tanti muri per poi aprire le porte alle prossime generazioni. Io ho aperto le porta, ora sta a loro entrare. Non posso parlare per loro o fare cose per loro. Io ho aperto le porte e ho dovuto sopportare tanta merda per essere dove sono ora, e mostrare a tutti che è possibile. E fargli accettare che è giusto avere una possibilità a prescindere da chi sei. Tutti hanno le stesse possibilità di farcela, ma poi sta a te”.

Tuo papà ha mai parlato con te della guerra in Jugoslavia? “No, non ne ha mai parlato. Vivevo con mio padre, cinque bambini. Mio fratello maggiore è venuto a mancare un paio di anni fa. Ho due sorelle maggiori con cui non ho rapporti. Ho un’altra sorella maggiore, abbiamo gli stessi genitori e siamo in contatto. È un casino lo so. Ho anche un fratello minore con cui sono in contatto. Io vivevo da solo con mio padre. All’inizio era ok, mio padre faceva di tutto per sopravvivere, pagare l’affitto, le bollette, farmi felice. Ha fatto il massimo. Poi è iniziata la guerra e ha iniziato ad allontanarsi. Non è un segreto che mio padre bevesse, era lì seduto al telefono cercando di entrare in contatto con la sua famiglia. Non sapevo cosa stesse succedendo perché ero piccolo. Ma lo vedevo. E spesso quello che vedi ti rimane molto più impresso di quello che ascolti o senti. Ma non ne abbiamo mai parlato, lui ha cercato di aiutare la sua famiglia che fuggendo era arrivata in Svezia. Ricordo che di notte era sempre al telefono cercando di aiutare, ma io giovane, matto, selvaggio, sempre fuori a giocare a calcio. Avevo comunque la disciplina di andare a scuola, se non fossi andato a scuola mio padre mi avrebbe ammazzato, com’è normale che sia nel nostro mondo. Ma non mi avrebbe picchiato, mia madre invece sì. Lo faceva con un cucchiaio da cucina, e se si rompeva mi diceva di andarne a comprare uno nuovo. Quanti ne ha rotti? Un sacco (ride, ndr). C’è stato un momento che arrivava anche con il mattarello, ma lì scappavo via. Era troppo duro. Ma per noi era normale”.

Credi che queste cose ti abbiano lasciato qualcosa di negativo dentro? “No. Mi hanno reso più forte. Ora che sono anche io un padre capisco cosa hanno passato i miei genitori. Non è facile. Ora viviamo in condizioni differenti. Mia madre aveva cinque figli, e per sfamarli lavorava dalle 7 alle 16. Avevo sorelle maggiori e un fratello maggiore che però non era nato da mia madre… Lei comunque doveva dare da mangiare a tutti, e non era facile. Eravamo tutti giovani, matti e un po’ selvaggi. Non era facile. Quello era un modo duro per darci disciplina. Se potessi tornare indietro direi comunque che è stato ok, mi ha reso ciò che sono oggi. Per molti non è accettabili, ma eravamo in condizioni diverse. C’era un’altra mentalità, un altro approccio. Venivano dai balcani, dalla Jugoslavia. C’è una mentalità differente, lì è normale”.

Qual è il tuo rapporto con i tuoi genitori oggi? “Sono più vicino a mia mamma che a mio padre. Lui e io abbiamo due ego enormi. Quando litiga con me è come se litiga con sé stesso. Ma non lo capisce. Sono come lui, mi ha reso chi sono oggi. Faccio un esempio. Entra nel mio garage e mi chiede cosa devo farci con tutte queste macchine costose. E io gli rispondo: “Io faccio le mie cose, tu pensa alle tue”. Mi sfida, è come me. Ma è molto orgoglioso di me. Quando sono diventato semi pro ha iniziato a mettere in sala solo foto mie, come se fosse un museo. Ha avuto una nuova prospettiva nella vita. Addirittura mi dava consigli su come giocare. Io lo ascoltavo ma ovviamente facevo di testa mia. Era comunque il primo a criticarmi se le cose non andavano come dovevano. Mi diceva di avere disciplina, di rispettare gli arbitri e cose del genere”.

L’episodio del letto: “Gli ho detto che stavo crescendo e avevo bisogno di un nuovo letto. Siamo andati a comprarlo, ma per trasportalo a casa c’era un costo. Ma non aveva abbastanza soldi. Allora lo ha portato lui in spalla, e io da dietro vedevo che era pieno di adrenalina, era carico. Io ero dietro di lui con il comodino, ed essendo ancora piccolo ovviamente andavo piano. E lui si arrabbiava, mi diceva di sbrigarmi. C’è voluta un’ora e mezza per tornare a casa con il letto. Avrebbe fatto tutto per me. Mi ha sempre dato tutto e non mi ha mai fatto mancare niente, anche andando oltre quelle che erano le sue capacità. Pagava i miei viaggi per andare al centro di allenamento piuttosto che l’affitto, lo rimandava di uno o due mesi”.

Secondo te qual è stato il momento della tua carriera in cui è stato più orgoglioso di te: “Non lo avrebbe mai dimostrato. Ma penso che il suo momento di orgoglio particolare coincide con le mie partite più importanti nei palcoscenici più importanti, dove il suo cognome, Ibrahimovic, è in mondovisione. Ho fatto un grande errore quando sono andato all’Ajax, sulla maglietta avevo scritto Zlatan. Ogni volta che incontro mio padre lo vedo, anche se non me lo direbbe mai, che non gli è piaciuto. Ma io ero pieno di adrenalina, ogni volta che parlavano di me dicevano “Zlatan, Zlatan, Zlatan”. E nella mia testa era Zlatan, non Ibrahimovic. E così ho messo Zlatan. Ma dopo quell’anno ho messo il mio cognome così da portarlo avanti, di generazione in generazione. E ora lo portano i miei ragazzi. Ti faccio un altro esempio per farti capire com’è mio padre. Torno a casa e gli faccio trovare una nuova macchina in regalo. Era una Mercedes Classe C. E lui mi risponde: “Non ho bisogno di una macchina”. E qui mi innervosisce, gli dico: “È la tua macchina, guidala”. E gli lancio le chiavi sul tavolo. La cosa divertente è che dopo qualche giorno guidavo in città e l’ho beccato che guidava la macchina che gli ho regalato. Di fronte a me non dimostra quanto gli ha fatto piacere, ma poi quando non ci sono la usa. È la sua mentalità, sotto il suo tetto è lui il capo e dice che non ha bisogno di niente”.

Com’è la vita di tua mamma ora? “Le ho comprato tante cose, com’è normale che sia. Cerchi di aiutare. Quello che ho imparato subito quando ho avuto successo e che avrei aiutato, ma senza interferire nella sua vita privata. Non sono quello che deve scegliere per te. Ho aiutato tutti, ho reso la vita più facile a tutti. Ma in ogni caso devono comunque prendersi cura di loro stessi, non voglio cambiargli la vita. Ho dato a tutti una casa, tutti dovrebbero averne una. Quando ero piccolo non avevo mai il frigo pieno, anzi. E allora mi sono assicurato che tutti in famiglia avessero il frigo pieno. Quando mi sono trasferito con mia moglie le ho detto: “L’unica cosa che ti chiedo è che quando apro il frigo deve essere pieno, anche se non devo prendere nulla al momento voglio cancellare quell’immagine del frigo vuoto di quando ero piccolo”. Inoltre ho fatto in modo che avessero anche qualche extra nel portafoglio, così in caso di emergenza non ci sono problemi. Ma senza andare in giro a spendere per divertimento”.

Pensi che ti abbiano cresciuto facendoti sentire amato? “Penso che nella nostra famiglia dimostriamo affetto e amore in un modo diverso. Dimostriamo amore in un modo duro, quasi aggressivo. Non siamo persone da abbracci, abbiamo un ambiente più duro”.

Pensi che il calcio ti abbia dato una via d’uscita da una vita che poteva prendere pieghe pericolose? “Penso che il calcio mi ha salvato. Da dove vengo io non ci sono sfumature, o scegli una strada o un’altra. Dipende da cosa vuoi. Mio padre mi ha dato la disciplina. Quando facevo qualcosa che non andava bene me lo faceva capire alla sua maniera. Avevo paura di lui, ma continuavo a fare cose che non andavano bene perché volevo avere cose che gli altri avevano e io no. E le ho prese alla mia maniera. Mi faceva avere paura di fare cose stupide, però le facevo ugualmente perché allo stesso tempo mi stimolava. Nel frattempo giocavo sempre a calcio. La mia mentalità era: “Io sono il migliore, vaffanculo a tutto il resto”. Questo era il mio motto. Volevo essere il migliore. Un giorno mio padre mi disse che dovevo provare a giocare a livelli più alti, sono stato preso subito. Il calcio era sempre il mio focus principale, anche se facevo cose stupide”.

Hai mai incontrato di nuovo le persone che ti hanno bullizzato da piccolo? “Sì, molte. Ma comunque penso che ero più bullizzato dai media che dalle persone. Comunque quelle persone le ho incontrate ma non ci ho parlato. Hai degli amici quando sei giovane, ma capisci chi sono i veri amici quando subentrano in gioco i soldi”.

Senti di esserti preso una rivincita verso quei bulli? “Tutti sognano di diventare una certa cosa. Se condividiamo lo stesso sogno non posso odiarti, crediamo nella stessa cosa. Quindi non posso prenderlo in antipatia. Ma è la stessa cosa che succede adesso sul campo. Se litigo con qualcuno sul campo comunque non posso odiarlo come persona, condividiamo lo stesso sogno”.

Il successo è la vendetta migliore? “In alcuni momenti sì. Ricordati che io giocavo quando non c’erano i social media, e quindi non potevo reagire alle critiche allo stesso modo in cui possiamo reagire oggi. Ora puoi fare quello che vuoi. Ai miei tempi dovevo aspettare di rivedere quella persona faccia a faccia. Ma una volta rivista potevo fare e dire quello che volevo, non c’erano limiti”.

Hai mai colpito un giornalista? “No, ma avevo così tanta rabbia da esserci andato vicino. Ma non sono andato oltre, avrei avuto delle conseguenze”.

Cosa ti ha dato più fastidio delle cose dette dai media? “Quando andavano sul personale. C’erano cose quando dicevano cose mie personali, mi giudicavano per la mia provenienza, per il mio aspetto, il mio stile, il mio modo di dimostrare affetto. Non dimostravo affetto abbracciando le persone, lo faccio in un modo molto aggressivo. Ma questo non vuol dire che voglia farti del male. Ci sono stati certi momenti davvero stupidi, come quando dicevano che cercavo una ragazza e cose simili. È successo 20 anni fa ma è ancora nella mia testa. Non è ok, non si fanno queste cose. Stavo facendo del mio meglio per sopravvivere e per farcela, e arrivano queste persone che mi vogliono buttare giù. Ma penso che questo mi ha reso ancora più forte”.

L’importanza di Mino Raiola nella sua vita, non solo calcistica: “La sua morte è stata una grande perdita, lo è tuttora, mi manca molto, oggi e per sempre. Non era solo un agente per me, era tutto. La mia carriera è iniziata il primo giorno che l’ho incontrato. Facevamo tutto insieme, condividevo tutto con lui: bei momenti, momenti brutti. Era presente anche nella mia vita privata, gli presentavo una ragazza e gli chiedevo se potesse andar bene o no. Era coinvolto in tutto quello che facevo, davvero tutto. Quando è scomparso per me il calcio è cambiato, non è più stato la stessa cosa. Mi ha visto crescere da ragazzino a uomo, sono diventato chi sono anche grazie a lui. Ma ci davamo sempre battaglia, litigavamo anche in modo duro. Ci dicevamo anche cose pesanti. Del tipo: “Vaffanculo, non lavori più per me”. E lui mi rispondeva: “Per licenziarmi prima devi assumermi”. Mi rispondeva sempre a tono. Odio e amore. Ma anche “l’odio” era amore. Se vuoi bene davvero a qualcuno gli dici tutto in modo diretto senza che questo possa cambiare il rapporto. E dopo che se n’è andato è diventato più difficile, perché ora faccio le mie cose da solo. Prima quando dovevo fare qualsiasi cosa lo chiamavo per chiedergli un parere. Amava le sfide, era un agente che lavorava per i giocatori e non per i club. Il suo obiettivo era quello di cambiare la vita ai calciatori, di salvarli”.

Qual è il miglior consiglio che ti ha dato? “Mi ha sempre detto: sii felice e apprezza quello che fai. Non mi vedeva sempre felice, e il suo motto era questo. Ma per me non era facile, per come sono fatto io non sono mai soddisfatto, voglio sempre di più. Gli dicevo che avevo bisogno di questa fame sul campo. Ma lui mi conosceva perfettamente. Vedeva il futuro prima che accadesse. Sapeva che saremmo stati poco a Barcellona. Ma non per i soldi, ma perché pensava che non fossi adatto per quell’ambiente. Quando ho lasciato il Milan diceva: “Non possono pagarti più”. Diceva che dovevo andare a Parigi perché solo io potevo completare quel progetto. Aveva questa capacità di vedere il futuro. Mi diceva che dovevamo creare problemi, perché eravamo i migliori a risolverli. Quando le cose sono normali non va bene perché non eravamo normali, eravamo sopra la norma. Mi stimolava in questo modo. Quando dovevo cambiare club facevamo il gioco del poliziotto cattivo e quello buono, io dicevo qualcosa e poi iniziava tutto. Lui stava al gioco. Ma se non otteneva quello che voleva diventava lui quello cattivo: volavano sedie, tavoli. È stata una grande perdita. Era un modello per me. Padre, amico, agente, esempio. Ho imparato tanto da lui, ci manca molto”.

La moglie Helena, 11 anni più grande di Ibra: “Ho visto questa ragazza bionda, ero nella mia Ferrari e volevo sembrare figo. Ma anche lei aveva una macchina notevole. Ci siamo parcheggiati, io cercavo di atteggiarmi ma lei mi ignorava totalmente. Non era quello che volevo. Quando ero giovane erano timido, non mi sentivo come ora. Da dove vengo io c’erano altri tipi di ragazze, quindi quando sono arrivato in città e ho visto tutte queste ragazze bionde… Wow. Quando ho visto Elena ho pensato fosse davvero bella, ma mi ignorava. Non era ok. Conoscevo un suo amico e le mandavo dei messaggi, ma mi ignorava. Ma non ho mollato, e quando non ti arrendi ce la fai. Alla fine ho avuto una possibilità. La cosa divertente è che nel primo messaggio che le ho inviato ho scritto un messaggio mi sono firmato “the one with the Red one”. Quello con la Ferrari. Sapeva che ero io. Lei mi ha risposto “with the black one”, perché la sua macchina era nera. Da qui abbiamo iniziato a parlare e conoscerci, ma sono 11 anni più piccolo di lei. Quindi mi vedeva come un ragazzino immaturo. Era elegante, sapeva cosa faceva e cosa voleva. Ci siamo frequentati per due anni. Poi quando mi sono trasferito in Italia le ho detto che era il momento di metterci insieme, se non avessimo provato non lo avremmo mai saputo. Ha avuto tanta pazienza con me, io ero giovane e scatenato. Ma anche a causa dell’età è qui con me ora. È stata più matura, paziente. Oppure ha visto un investimento in me (ride, ndr)”.

Ha pensato che avrebbe potuto domare la bestia: “Può essere, la differenza di età ha fatto la differenza. Poi inizi a conoscerti. Ogni tot di tempo cresci, cambi”.

Però non sei sposato: “No, perché non voglio perdere il 50% delle mie cose (scoppia a ridere, ndr). Sto scherzando, sto scherzando. Seriamente, le ho chiesto di sposarmi. Ma mi ha detto di no (ride, ndr). È forte, eh? È successo un paio di anni fa. Le ho detto: “Dopo 20 anni meriti di diventare mia sposa”, mi ha detto: “Non ho bisogno di sposarti per stare con te”. È forte, molto forte”.

Come ti sei sentito? “Se fai una cosa del genere guadagni ancora più rispetto da parte mia, non ho bisogno di vincere ogni volta”.

Glielo chiederai nuovamente? “No. Ha avuto la sua occasione, non ne avrà un’altra (ride, ndr). Ma ha avuto due figli da me, è una cosa ancora più importante che essere sposati”.

È vero che le hai detto che non avrebbe avuto niente come regalo per San Valentino perché aveva già Zlatan? “Sì, ma non è successo con lei. Era con un’altra ragazza. Se l’avessi detto ad Helena sarebbe andata via di casa (ride, ndr). Ho detto quella cosa quando avevo tantissima attenzione su di me, tanta adrenalina, ero sempre in tv o sui giornali. Quindi avevo fatto questa proposta di fidanzamento, ero gasato. Ma non avevo capito bene cosa significasse: bisognava sposarsi entro un anno dalla proposta. Ma non volevo sposarmi. E così ho detto quella frase in un’intervista. Quando mi hanno detto che dovevo sposarmi entro un anno allora ci siamo lasciati. Non l’ho fatto per sposarla, ma per sentirmi vivo. Però capiscimi, ero giovane. Ad Helena comunque non importa. Mi ha detto che non ha bisogno di sposarmi per dimostrare che stiamo insieme. Abbiamo due figli e non c’è bisogno di un foglio di carta per dimostrare che stiamo insieme”.

Sull’Arabia Saudita e i soldi: “Se so quanto sono ricco? Ho sempre detto che i soldi non sono importanti. Io e Mino abbiamo sempre fatto grandi cose. Quando sei un’azienda, vuoi una sfida per vendere il più possibile. Io sono stato senza soldi, cresciuto in una famgilia con pochi euro con cui dovevamo pagare le bollette. Ma ho avuto una buona vita in questo periodo della mia vita. I soldi fanno più facile la tua vita, ma non ti danno la felicità. Il mio sogno era giocare nel Barcellona, ma questo è diventato un incubo. Ho avuto offerte dall’Arabia Saudita e dalla Cina, ma quello che fa la differenza è quello che vuoi. Ci sono giocatori che hanno bisogno di chiudere la carriera in grandi palcoscenici perché devono essere riconosciuti per il loro talento, non per quanto hanno guadagnato. Penso che questo sia importante per i giocatori di un certo livello, non andare in palcoscenici inferiori e finire la tua carriera in un altro modo. Ma molti giocatori hanno bisogno di andare a guadagnare di più perché prima, magari, non hanno guadagnato abbastanza. Ho avuto un’offerta da 100 milioni dalla Cina, ma sono andato in America. Ho voluto sfidarmi con qualcosa di nuovo. Problemi morali a giocare in Arabia? No. Ovunque tu giochi a calcio, è calcio. È un sogno che condividiamo tutti e che connette le persone nel mondo. L’Arabia sta crescendo, la MLS sta crescendo, la Cina ha avuto un exploit ma ora non so la situazione. Quello che facciamo è per la nostra famiglia e il suo benessere per avere una bella vita. Nessuno lavora gratis, Probabilmente ho un patrimonio da mezzo miliardo di dollari, ma non lo so con precisione e quando ero un bambino a Malmo non ci avrei mai pensato ad arrivare a questo. Ma tutto questo non mi ha cambiato, io sono sempre me stesso. Io sono sempre affamato, aggressivo, ho bisogno di sentirmi vivo ogni giorno”. 

Su Pep Guardiola: “Penso che Guardiola sia un grande allenatore. Se guardi la sua carriera e prendi gli ultimi 10-15 anni, ha sempre fatto grandi risultati. Penso che non sia mai andato sotto il secondo posto. Ma oltre all’allenatore, c’è la persona. Io guardo tutti negli occhi e capisco se c’è un problema o meno. Mi serve un secondo per andare al punto e risolvere un problema. Ricordo che prima che andassi al Barcellona, i media dicevano che ero troppo diverso per quel contesto. Il mio errore è stato quello di voler entrare in quella mentalità per quello che sono io. Non potevo essere qualcuno di diverso. A Guardiola gli ho detto di essere sincero con me e di dirmi le cose direttamente. Io risolvo i problemi. Non ero li per creare problemi, ma per risolverli. Ero li per realizzare il mio sogno, ma lui non l’ha fatto. I primi sei mesi le cose sono andate benissimo. Nel primo incontro che ho avuto con lui, mi ha detto che i giocatori non arrivavano al campo con la Ferrari, la Porsche o altre macchine di lusso. Gli ho chiesto perché? Mi ha chiamato tutti i giorni per convincermi ad andare al Barcellona e poi mi ha mandato questi messaggi. Non usato le mie macchine per 6-8 mesi. Poi gli ho chiesto di poter parlare in maniera tranquilla. Gli ho detto che avevo bisogno del mio spazio per fare il mio calcio, cosa che non riuscivo più a fare dopo il cambio di posizione di Messi. Abbiamo parlato in maniera normale. Non abbiamo mai avuto problemi a livello di rapporto allenatore-giocatore. Lui mi ha datto che avrebbe preso in considerazione queste mie necessità. La prima partita dopo il colloquio, panchina. Non sono il tipo che va dal mister a chiedere perché non mi fa giocare. Io vengo dalla cultura del duro lavoro e tu ottieni in base a come ti alleni e lavori. Seconda partita, panchina. Terza partita, panchina. Io penso che Guardiola si sia sentito offeso dalla mia richiesta di giocare di più, che per me è ok. Ma devi essere diretto con me, dobbiamo capirci. Quarta partita, panchina. E allora iniziavo a capire che ero in panchina per una situazione che si era creata per le persone vicino a lui, che avevano iniziato a interferire. Poi sono arrivato al campo con la mia fottuta Ferrari e ho fatto in modo che lui vedesse la cosa dal suo ufficio. Il mio motto in quel momento è stato “se tu mi fotti, io ti fotto”. Se vuoi giocare con il fuoco, bene. Ma io ti brucerò. Certo, lui era sempre l’allenatore e non giocare, per un calciatore, è la punizione peggiore che ci possa essere. Lui era l’allenatore, il boss, ma questa cosa non poteva essere ok. C’era la sala colazione dove ci trovavamo tutti e lui faceva dentro e fuori dalla stanza quando c’ero io. In campo non c’era mai una connessione visiva tra di noi. Mi evitava e li ho notato che c’era qualcosa oltre il giocatore. È stato un codardo perché non si è voluto confrontare direttamente con me. Ha usato “i suoi ragazzi” per risolvere i suoi problemi. Lui non ha voluto mai confrontasi con me. Ma quello che è successo, è successo. Devi prendere esperienza da queste cose. C’era un suo amico, quando ci siamo incrociati in un derby di Manchester, che lo teneva aggiornato su quando sarei passato. Una volta che sono passato, lui è uscito da dov’era. Io penso che sia un allenatore fantastico, che ha cambiato il gioco. Come uomo… Non è quello che ho conosciuto. Ma sono contento per lui. Abbiamo condiviso lo stesso sogno. Non ha avuto il coraggio di confrontarsi con me, è sempre scappato via dal confronto”.

Su José Mourinho: “Non ho mai visto arroganza in lui, ma coerenza e fiducia in quello che diceva. Perché quello che ha detto, lo ha fatto. L’ho conosciuto all’Inter. Io arrivavo dall’esperienza di Capello, che era un allenatore con una mentalità molto forte. Lui mi buttava giù tutti i giorni per poi portarmi al top. È stato quello che ha forgiato la mia mentalità, quella di non essere mai soddisfatto al massimo. Mi ha detto che facevo pochi gol e che aveva bisogno che io segnassi di più e mi sono allenato tantissimo a tirare in porta, oltre ad allenarmi forte con gente come Cannavaro e Vieira. Lui urlava sempre “Ibra, Ibra” che poi è la genesi del mio soprannome. Io andavo in campo e mi allenavo un’ora in più per migliorare. Quando ho incontrato Mourinho, in allenamento facevamo cose nuove tutti i giorni. Lui divideva il campo in quattro zone e ogni esercizio era qualcosa di nuovo. Poi quando parlava alla squadra, ci diceva che non avremmo avuto una seconda chance. Ti porta a combattere per lui e tu fai qualsiasi cosa per vincere. Lui ti motiva ad un livello altissimo. E come uomo, è diretto. È un vincente e dice quello che pensa, ma è molto informato. Sapeva più cose di me quando parlava con me”.

Sui suoi gol più belli: “Il gol in rovesciata contro l’Inghilterra. Non ho visto molti giocatori fare una cosa simile. Un giocatore normale, quando vince 3-2 a pochi secondi dalla fine, prende il pallone e perde tempo. Ma io li ho visto un qualcosa di diverso. Hart era fuori dalla porta e quando ha colpito la palla di testa, ho corso all’indietro e pensavo a dove sarebbe potuta arrivare la palla. Quando sei un attaccante, sai benissimo dove si trova la porta, non hai bisogno di vederla. Ho dovuto cambiare la mia angolazione per mettermi nella posizione migliore per la porta. Ero concentrato su come colpire il pallone. La rovesciata di Ronaldo contro la Juve? Ero sarcastico. Quel gol è stato fantastico, ma io ho segnato da 40 metri. Un gol meglio del sesso? Non scherziamo, il sesso è dieci volte meglio di un gol e chi dice il contrario, ha un problema col sesso. Dopo il gol ho visto Wellbeck entusiasta di quello che avevo fatto. Ho pensato “Goditela, perché non vedrai più niente del genere”. Il gol è stato bello anche perché è stato contro l’Inghilterra, dove molti scrivevano che non ero bravo abbastanza per giocare in Premier League. Tiravano fuori statistiche diverse. Ho segnato quattro gol e questo è un gol che gli inglesi ricorderanno per il resto della loro vita. Ho segnato diversi gol belli, ma quello… I gol che ricordi sono quelli che non potrai ripetere. È stato un gol pazzo, fatto d’istinto. È qualcosa che non puoi pianificare. Il gol più bello che ho visto da parte di un giocatore? Penso che i miei gol siano folli perché sono 197 centimetri per 97 chiili. Uno che ricordo è quello di Zidane contro il Bayer Leverkusen. Ma nella top 10, io ne ho fatti 5”.

Il miglior giocatore di sempre: “Per me Ronaldo il Fenomeno era qualcosa di diverso. Ha cambiato il gioco. Ricordo che ero un ragazzino e guardavo le sue giocate su YouTube. Ricordo che passavamo ore davanti agli schermi dei computer e studiavo i tricks, i dribbling e per me lui era il calcio. Perché tutti volevano essere lui. Ci sono stati tanti giocatori che hanno fatto benissimo, ma lui è stato qualcosa di diverso”.

traduzione e trascrizione a cura di MilanNews.it