Il tavolo con Berlusconi, Gullit da libero, l'invidia degli dei e tanto altro: Silvano Ramaccioni si racconta a Milan TV

Il tavolo con Berlusconi, Gullit da libero, l'invidia degli dei e tanto altro: Silvano Ramaccioni si racconta a Milan TVMilanNews.it
© foto di Alberto Fornasari
domenica 13 ottobre 2024, 14:00Primo Piano
di Manuel Del Vecchio

Nuovo episodio di Unlocker Room - The Rossoneri Podcast, format curato e prodotto da Milan TV con ospiti diversi protagonisti del mondo rossonero, presente e passato. In questa puntata l’ospite è Silvano Ramaccioni, prima Direttore Sportivo e poi Team Manager rossonero per un’avventura durata quasi trent’anni.

Queste le sue dichiarazioni e racconti ai canali tematici del club .

Più di trent’anni nel Milan…

“Diciamo di sì, anche se effettivi sono meno: 27 anni a tempo pieno, e poi tutto il resto era un part time che a me solleticava, anche se non frequentavo più Milanello e non frequentavo più San Siro, tutte le domeniche ero a San Siro. La mia passione fin da ragazzo era quella di vedere le partite da bordocampo, potrei contare sulle dita le poche partite del Milan che ho visto dalla tribuna”.

Questa mattina (arrivando a Casa Milan, ndr) Baresi e Massaro l’hanno accolta come un idolo:

“Non esageriamo, un idolo no (ride, ndr). Io penso di aver avuto la fortuna di arrivare al Milan nel momento in cui il club ha vissuto la sua età d’oro con la presenza del nostro presidente Silvio Berlusconi ed Adriano Galliani, un grandissimo dirigente”.

Il team manager è un ruolo che ha inventato Berlusconi o sbaglio?

“Sono stato Direttore Sportivo dall’82, all’epoca c’era la presidenza di Giuseppe Farina. Poi dal ’86 Direttore Sportivo con Braida, anche lui DS, al mio fianco, poi il dottor Berlusconi mi chiese, e ottenne da me un sì convinto, di fare il team manager. Il team manager operava in maniera diversa da quello che è oggi il ruolo, perché la mia esperienza veniva da anni e anni di calcio vissuto come DS, sempre con una presenza costante di fianco alla squadra. Sono stato un trait d’union fra quello che era il Milanello, distaccato un po’ dalla sede centrale, e la società”.

Com’è nata la necessità di avere un team manager?

“Fu una richiesta di Silvio Berlusconi. Se ne sentiva già parlare di questo ruolo, in alcune società è una figura che è cresciuta perché c’era un’importante organizzazione logistica. Nel mio caso specifico era una cosa diversa. Non essendoci il campo d’allenamento in città come è usuale in tante società, con conseguente presenza costante dei dirigenti, la mia presenza dal primo giorno di ritiro, fino all’ultimo giorno di lavoro, serviva come traite d’union tra la società ed il gruppo di lavoro, che era formato dai tecnici e dai giocatori”.

Come l’ha contattata Farina?

“Avevo conosciuto bene il dottor Farina negli anni precedenti. A Perugia portai al dottor Farina Paolo Rossi, vincendo la concorrenza di tutte le grandi squadre, compreso il Milan. Dal Vicenza riuscimmo a portare a Perugia Paolo Rossi. Farina ha un grandissimo senso della proprietà, anche se stava lasciando il Vicenza per lui Paolo Rossi era un tesoro. Avendo trovato una società come il Perugia, contenta di prendere in prestito il giocatore e non acquistandolo, per Farina, così attaccato alla sua proprietà, fu un vantaggio. Rimase stupito tutto il mondo del calcio, venne scritto che era il colpo del secolo portare da Vicenza a Perugia un giocatore come Paolo Rossi”.

Come funzionava? I giocatori potevano anche rifiutarsi oppure erano obbligati al trasferimento?

“No no, potevano già di dire di no. La legge 91 era già in vigore, la novella che i vecchi DS dicevano ai giovani, “Ti mando a Canicattì”, per spaventarli era già una cosa superata. Il giocatore è sempre stato fondamentale nella scelta della destinazione”.

Lei ha vissuto 8 finali di Champions dalla panchina…

“Una volta parlando con un dirigente del Real Madrid rimane scosso, mi disse che nessuno al mondo aveva fatto una cosa del genere”.

Due stagioni di fila senza mai perdere, una col Perugia e una col Milan.

“Con il Perugia vinse il campionato il Milan, l’anno della stella. Con il Milan invece 58 partite senza sconfitte, sono i fiori all’occhiello della mia attività di DS”.

È vero lei è stato uno dei primi segretari sportivi del tempo?

“Quando io ho cominciato nel mio paese praticamente la definizione di DS non esisteva. Ebbi la fortuna di conoscere Italo Allodi, era amico di amici di Città di Castello: era stato partigiano nella città di Cremona. Aveva passato il periodo di fine guerra nella Cremona. E io anche se ero un rappresentate di una piccola squadra come Città di Castello venivo a Milano per il calciomercato ed ero ospite di Italo Allodi. È stato come una calamita, una voglia per fare questa attività, che poi è diventata realtà”.

Si ricorda l’aneddoto di quando Berlusconi comprò il Milan…?

“Io non ho partecipato a nessuna trattativa. Molti si fecero allungare il contratto dal dottor Farina (prima che vendesse, ndr). Il mio contratto era in scadenza, ho negato di prolungarlo e di presentarmi poi al dottor Berlusconi dicendo che avevo il contratto in scadenza dopo tre anni. Invece quando l’ho incontrato gli ho detto che aveva fatto fino a quel momento il dirigente del Milan, ero senza contratto e che se avesse voluto sarei stato a disposizione. Era troppo comodo altrimenti. Tutti quelli che avevano avuto l’idea di farsi allungare il contratto invece non rimasero nel Milan”.

Lei incuteva timore ai giocatori?

“Il mio aspetto è sempre stato quello del burbero, un burbero benefico. I giocatori capivano subito. In una vita trascorsa tra spogliatoi e panchine non penso di aver affibbiato più di due multe piuttosto serie. Non era il mio metro, ero a disposizione principalmente di quei ragazzi che giocavano meno, che avevano bisogno dell’assistenza di un dirigente. Mi ricordo di Davids, un grande giocatore. Arrivato dall’Ajax, a Milanello gli sembrava di vivere in una caserma e non riusciva ad ambientarsi. Fu brava la Juventus, quando lo presero da noi, a creare intorno a lui un ambiente diverso. Qui non riusciva a digerire la vita di Milanello, che comunque per tanti giocatori era l’ideale”.

Lo stile Milan di oggi deve molto a lei…

“Vi ringrazio, ne sono lieto. Penso che occorra in ogni società che ci sia qualcuno che dia l’idea dei giusti comportamenti ed i modi di fare ai giocatori”.

Si assicurava anche che i giocatori andassero in campo nel modo giusto…

“Il calcio è spettacolo, è immagine. Un calciatore ha bene in testa che, essendo il calcio un gioco di spettacolo, l’immagine è importante: serve anche al lustro della società”.

Quali erano le regole fondamentali di Milanello?

“La puntualità, la correttezza nei confronti degli avversari, il rispetto di arbitri e dirigenti. Cose fondamentali, cose secondo me naturali. Non ci inventavamo niente. Erano tutte cose naturali che però era difficile poter creare”.

Partecipava alle trattative per portare al Milan nuovi giocatori?

“Con Braida mi ricordo che per van Basten eravamo in sede e avevamo delle cassette. L’Ajax l’anno prima aveva vinto la Coppa delle Coppe e avevamo dei filmati, che erano a disposizione dei tecnici e degli osservatori. Suggerii a Braida di mandare subito la videocassetta a Berlusconi, in modo che la potesse vedere. Mi ricordo anche che addirittura sotto Natale, nel palazzo dello Sport di fronte a San Siro, c’era stato un torneo di calcetto in cui presente van Basten con l’Ajax. La presenza di Adriano Galliani ogni anno era fondamentale, così come quella del dottor Berlusconi che forniva le sostanze per le campagne acquisti, soprattutto nei primi anni, che venivano fatto nei tavoli di Milanello con mesi e mesi di vantaggio sulla prossima stagione”.

Da chi era formato questo tavolo?

“Il dottor Berlusconi, Galliani, Braida, io e basta. Berlusconi si faceva portare dei fogli speciali che adoperava solo lui con i suoi pennarelli. E su quel tavolo veniva tracciato quello che poteva essere l’organico per l’anno dopo, ed eravamo al mese di gennaio, massimo mese di febbraio”.

Chi decideva se non eravate d’accordo?

“Berlusconi decideva se aveva visto, se aveva toccato con mano, videocassette e relazioni dei vari tecnici”.

E cosa è successo quando ha visto van Basten?

“Si entusiasmò. Mi ricordo che c’era un collega, Claudio Nassi che lavorava con la Fiorentina, una delle società che seguiva van Basten. Fu facile superare gli ostacoli della Fiorentina e portarlo al Milan”.

Invece c’è qualcuno che vi hanno soffiato?

“Berlusconi e Galliani avevano deciso di prendere Vialli, era un’operazione quasi fatta. Se non che i dirigenti della Sampdoria furono così bravi che Vialli poi disse no al Milan”.

Come si viveva una trattativa?

“Si studiava l’organico, se dovevamo rinforzare l’attacco, il centrocampo o la difesa allora venivano fuori i nomi. Era presente anche l’allenatore a quel tavolo. Nasceva da sola l’idea di fare per tempo, con mesi di vantaggio, la squadra. Poi la trattativa, a quei tempi non esistevano ancora i procuratori, era tra le due società. Poi l’avvento dei procuratori ha fatto saltare tantissime regole nei tempi e nei modi di approccio. L’evoluzione sotto questo punto di vista penso che anche oggi non sia ancora finita”.

I giocatori contrattavano il loro stipendio?

“Sì. La trattativa economica del giocatore era nelle mani di Galliani”.

Su Liedholm e le sue scaramanzie

“In tasca poteva tenere una zampa di lepre o di coniglio, qualche amuleto un po’ particolare. Praticamente aveva quelle che erano le sue convinzioni. Il suo sguardo dalla panchina nei confronti della squadra non doveva essere intralciato dalle persone che gli stavano davanti. Guai se, quando eravamo in albergo, il numero della sua camera non avesse per somma 5. La camera 32, benissimo. La camera 14, benissimo. Tutte piccole cose…”.

Berlusconi un anno prese uno stregone, è vero?

“Ebbe modo di conoscere questa persona, si faceva chiamare Il Telepato. Uno spagnolo che diceva di aver lavorato per il Real Madrid, ma non l’ho mai verificato. Ma è un argomento da trattare con tanto beneficio del dubbio, sono storielle più che verità”.

Le scaramanzie di Arrigo Sacchi:

“Se non ci fosse stato Milanello allora lo avrebbe inventato. Sento ancora le sue ciabattine che strisciano nei corridoi alla vigilia dei grandi impegni, e si sofferma di fronte qualche camera, perché aveva idea di entrare e parlare con i giocatori di quello che era il programma che si sarebbe svolto la domenica. Avere a disposizione una casa come Milanello era il massimo che Sacchi potesse pretendere”.

I discorsi di Berlusconi alla squadra:

“Riusciva in maniera eccezionale a dare la carica. Sceglieva anche i giocatori che, secondo qualcuno, avevano più bisogno della parola del presidente. Ogni volta che arrivava l’elicottero ero pronto ad accoglierlo, e in quel percorso che facevamo a piedi dall’elicottero a Milanello potevo dargli qualche idea su chi potesse avere bisogno della sua parola. Berlusconi era fenomenale nel trattare le singole persone, riusciva, radunando tutti noi, a farci crescere. Chi non aveva la capacità di parlare di fronte alla gente con Berlusconi diventava capace”.

Si ricorda un discorso particolare?

“Ogni volta che veniva c’era qualcosa di particolare. Non ha mai perso un minuto del suo tempo prezioso per qualcosa che non fosse importante. Anche quando fummo di fronte al primo grande impegno europeo, la finale al Camp Nou contro la Steaua, nel pullman che andava all’albergo allo stadio era col microfono in mano e parlava con i giocatori”.

All’epoca era difficile organizzare le trasferte:

“Non erano passeggiate semplici. Mi ricordo in Germania dell’Est giocammo a Lipsia e molti tifosi furono arrestati perché facevano foto: era proibito. Bisognava stare attenti”.

Qual è la trasferta più avventurosa che ricorda?

“La trasferta a Belgrado con la partita sospesa per la nebbia, con il debutto in prima squadra di Cappellini, con Gullit che forzava i tempi di recupero. Fu una cosa difficile e stressante, avevamo anche Savicevic come avversario. Fu una delle tappe fondamentali”.

La partita di Marsiglia e le luci…

“So quello che avvenne dopo il gol del Marsiglia, era certo che ci stavano menando per il naso. L’unico che non capì che c’era qualcosa che non funzionava fu l’arbitro… A distanza di anni venne fuori che erano drogati e che c’era qualcosa che non andava… Sicuramente sbagliammo, fu io uno di quelli che sbagliò di più. Ritirarsi da una competizione non è mai logico, infatti ci punirono perché l’anno dopo non partecipammo”.

Lei fin da subito era consapevole di quello che sarebbe successo…

“Lo smacco di questa sconfitta ci pesava enormemente, ma che qualcosa avesse interferito era certo. Purtroppo ogni tanto si fanno degli errori, fu una serata sbagliata”.

C’è un campione che ha a cuore?

“Gullit praticamente al Milan è migliorato anno per anno fino al momento in cui se n’è andato e forse sbagliammo, perché poteva ancora essere utile. Era già un grande giocatore quando è arrivato dall’Olanda. Qui si è affinato con la fortuna di avere accanto Rijkaard e van Basten: il trio olandese è indimenticabile. Gullit era un calciatore fondamentale”.

L’acquisto di Gullit:

“Non ero con il dottor Berlusconi in quella spedizione fatta in area, quando andarono a vedere il Gullit. Quella sera, quando lo videro, faceva addirittura il libero. Ma era talmente esuberante a livello di forza atletica e di potenza, che poteva fare tutto. Anche il portiere”.

C’è un ricordo particolare di Capello?

“Capello fu una scelta del dottor Berlusconi quando Sacchi mollò. Fabio era stato per anni dirigente della sezione di pallavolo, fu invece una mossa azzeccata che culminò con la vittoria di quattro scudetti consecutivi e la Coppa di Campioni di Atene che diventa una cosa storica. Ogni fine stagione poi organizzavamo amichevoli eccezionali, siamo stati in tutto il mondo: in Brasile, in Cina, in Australia… Abbiamo giocato in tutti gli stadi possibili. Abbiamo giocato una partita storica a Johannesburg per volontà di Nelson Mandela. Diedi a Mandela il gagliardetto del Milan: un ricordo eccezionale. Per girare lì avevamo bisogno della scorta della polizia…”.

Su Zaccheroni:

“È un mito. Arrivare al Milan dopo gli altri mostri sacri e centrare la vittoria del campionato è stato straordinario. Fu bravissimo. Perdemmo a Parma per 4-0, ma la caparbietà e la volontà che aveva Zaccheroni per questo suo tipo di gioco fu una cosa bellissima. Ogni tanto lo sento anche adesso, complimentandomi con lui”.

Su Ancelotti:

“È fra gli intoccabili. È talmente bravo che c’è da dire solo che ci faceva giocare talmente bene… Un mio nipote mi disse, quando perdemmo ad Istanbul, che avevamo perso per l’invidia degli dei. Alla fine del primo tempo l’invidia degli dei fu tale che perdemmo la partita. Io sinceramente devo dire che anche chi ha avuto meno fortuna, come Tabarez, è stato uno tra i più bravi al Milan. E l’ha dimostrato anche nel prosieguo della sua vita. Lasciò il posto ad Arrigo, che rientrava per la seconda volta, ma non so cosa non funzionò in lui. Anche Fatih Terim quando lasciò la panchina ad Ancelotti… Anche lui era un grande allenatore”.

Ha mai pianto per il Milan?

“Paura tanta, pianto no. Quella sconfitta contro il Liverpool mi fece soffrire enormemente, in un albergo tra i più belli del mondo com’era quello in cui eravamo ospiti ad Istanbul, ricordo di aver fatto tutta la notte con gli occhi spalancati non credendo a quello che era successo…”.

Il ricordo più bello?

“La Champions di Atene contro il Barcellona. Le assenze di Costacurta e di Baresi, la certezza di Cruyff di averla vinta ancora prima di giocarla dimostrò che nel calcio non bisogna mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”.

È rimasto in contatto con allenatori e calciatori?

“Mi piacerebbe un giorno rivederli tutti quanti insieme. Oggi è stato bellissimo, ho incontrato Franco Baresi e Massaro che mi hanno festeggiato e io ho festeggiato loro, è stato un momento bello”.