Caro Tassotti, non ci cascare
Dicono che sia troppo facile sparare adesso. Vero. Non ci riguarda: stiamo sparando da giugno. Banchettare su una carcassa indifesa è da avvoltoi, non ci appartiene: più intelligente cercare di capire perché, chi ha sventrato e macellato il purosangue, lo abbia fatto. Non pensiamo che San Siro sia sempre più vuoto sugli spalti e in campo per colpa dei giornalisti. Sarebbe un po’ limitativo, e molto, molto presuntuoso.
Abbiamo invocato Berlusconi (in pubblico e attraverso il suo ufficio-stampa) affinché parlasse. Picche. Abbiamo supplicato che non fosse ceduto almeno Thiago. Picche. Abbiamo sperato che arrivasse Kakà, giusto per un sospiro. Picche. Abbiamo confidato in un colpo di genio finale di Galliani, visto che quello iniziale (trattenere Maxi Lopez) era sfumato. Picche. Anzi se n’è andato il gentiluomo Cassano ed è arrivato il fuori-rosa Pazzini. Picche. Abbiamo sperato in un gioco, infine. Picche.
Che l’asse Berlusconi-Galliani scricchiolasse da anni è fatto noto. Che le crepe si siano fatte più vaste causa i malumori di famiglia, è emerso nel tempo.
Alcuni giornali specializzati in questioni finanziarie la scorsa primavera hanno stimato la liquidazione di Galliani in oltre 100 milioni di euro, motivo più che sufficiente per cercare qualcun altro che si possa assumere il doloroso atto del congedo. Il Milan però è una scatola vuota, ha di sua proprietà “soltanto” il centro sportivo di Milanello che non vale un decimo della richiesta (1000 milioni) per vendere il club. Quanto a possibili investitori o partner, nessuno entrerebbe in società con Berlusconi se non avesse la possibilità di comandare in prima persona, o se non avesse interessi ben oltre quello del calcio. L’unica strada per ingolosire qualche capitalista straniero, dunque, era azzerare il bilancio economico, appiattendo – come naturale conseguenza – il valore tecnico della squadra. Operazione perfettamente riuscita su entrambi i fronti.
Rabbia, disappunto, delusione, ma per favore nessuno stupore per i risultati scadenti, però era lecito aspettarsi uno scenario diverso da quello della città che brucia, dagli zero gol in 3 partite in casa contro una squadra più accessibile dell’altra. Ci aspettavamo che Allegri avesse terreno fertile adesso, dopo aver preferito i pedovalanti ai campioni, dopo aver insistito nel crocifiggersi a un modulo piuttosto che ipotizzarne un altro, dopo aver esautorato le personalità forti, siano quella despotica di Ibra o quella ineducata di Cassano, sia quella invadente di Inzaghi o quella saccente di Seedorf o quella testarda di Gattuso. Invece, niente. Né uno schema né pressing né furore né umiltà. Niente. Questa è una squadra che 16 mesi fa ha vinto uno scudetto e 4 mesi fa ne ha regalato un altro. Regalato perché al di là degli infortuni e del gol annullato a Muntari contro la Juve, ha smesso di crederci a 8 giornate dalla fine. Ecco perché Allegri ha eccome la sua parte di colpe. Dopo il suo esonero in diretta tv, leggibile in quelle famose espressioni iraconde di Berlusconi durante Milan-Barcellona, la soluzione della guida tecnica doveva essere cercata molto prima. Oggi si è cercato Gattuso e si pensa a Inzaghi, per promuoverne uno prematuramente “secondo” a un altro “secondo”, Mauro Tassotti, il quale questo ruolo sembra aver deliberatamente ritagliato su se stesso, mettendo la sua educazione, la sua cultura, la sua esperienza a disposizione del timoniere. Un altro timoniere.
Non era questione di essere pessimisti, ma realisti, prevedere che soltanto il 20 di settembre la stagione sarebbe già diventata un Calvario. Anche se, come detto, era lecito aspettarsi molte difficoltà, non l’azzeramento assoluto del gol e dell’anima cui stiamo assistendo. Eppure l’orchestra sul Titanic ha continuato a suonare “Siamo da scudetto”. Ci sarebbe stato tutto il tempo di trovarne uno autorevole, di comandante, credibile, affidabile per guidare un gruppo così modesto, senza dover mandare oggi allo sbaraglio, invece, una coppia di amici.
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