Dall'Europa alla serie A: chi siamo veramente? Fonseca e Leao, due per uno
L'entusiasmo dopo Madrid non è effimero come dopo l'ultimo derby vinto, per esempio. In quel caso eri ancora sotto tiro degli sfottimenti nerazzurri: dopo una serie di batoste una peggio dell'altra, avete poco da esultare. Ma abbiamo esultato lo stesso, eccome: la serie negativa si era interrotta e il successo dava speranze. Poi però il Milan è sprofondato di nuovo nella spirale degli alti e bassi, risalendo sull'ottovolante che da ormai più di 2 anni ci rovescia le budella, senza farci capire molti dei reali valori e dello spessore assoluto di questa squadra, di questa rosa. Persino di Pioli e Fonseca, degli allenatori. So già che leggendo queste prime righe, in molti sposteranno l'occhio di bue sulla società: si è figli di chi ci ha creati.
Difetti e lacune della proprietà e della dirigenza sono oggetto di discussione quotidiana, ho già detto tante volte di condividere molte critiche precise, argomentate e obiettive (educate, vorrei aggiungere), ma ho anche ripetuto che nella mia lunga storia di amore rossonera sono passato da Buticchi e Colombo, Farina e la farsa cinese: resto attaccato alla squadra e al campo, confidando che l'obiettivo primario dei vertici - il nuovo stadio - venga realizzato, possibilmente in tempo perché io possa vederlo.
Smaltita l'euforia della notte al Bernabeu, la domanda chiave è: chi siamo veramente? Quali sono le potenzialità del Milan? Sono ancora troppo limitati i momenti di esaltazione rispetto ai pugni nello stomaco: Inter e Real, mezz'ora a Leverkusen e mezz'ora con il Napoli, la bella prova collettiva con l'Udinese ingiustamente in 10 per un'ora, non cancellano quegli sprofondi ripetuti con Torino, Parma, Lazio, Fiorentina... E Monza, dove nel primo tempo sei stato in balia dei ragazzi di Nesta e nella ripresa non hai fatto niente per affossarli, quando erano visibilmente calati. Le parole di Fonseca dopo l'1-3 al Real vanno bene interpretate: "E' più difficile a Monza che a Madrid". Personalmente ho colto la chiara intenzione di adattare la squadra a quelle che sono le difficoltà tattiche della serie A rispetto a quelle della Champions. In effetti non è che contro Liverpool e Bayer (in parte anche con il Bruges) queste differenze, rispetto al gioco e all'atteggiamento dei rossoneri, sia stato molto diverso che in troppe delle 10 partite di campionato, di cui 3 perse.
Contro i campioni di Spagna e d'Europa il capolavoro è stato tattico, in primis, ma soprattutto nell'interpretazione delle idee dell'allenatore. Significa molte cose: la prima è che lo spogliatoio è con lui, capisce e condivide le sue linee guida. La seconda è che quando vuole, la squadra sa mettere in campo ferocia, attenzione, abnegazione e determinazione che esaltano le sue doti tecniche non indifferenti. La terza è che assumendo finalmente continuità si possono raggiungere traguardi importanti. Resto dell'idea che formazione, quindi interpreti, modulo e sistema di gioco siano importanti, ma il valore dei giocatori e la loro capacità di esprimerlo sia alla fine il vero aspetto decisivo. Nel pomeriggio di mercoledì scorso ho letto decine di spernacchiamenti quando si è saputo che avrebbe giocato Musah: Fonseca e l'americano hanno provveduto a far capire cosa avevano in mente.
Se è vero come è vero che in serie A la tattica e l'organizzazione degli avversari, dalla prima all'ultima in classifica, sono infinitamente più complicati che in Champions, ebbene sta a Fonseca e alla squadra risolvere la questione. Stefano Pioli col Milan ha conquistato uno scudetto, 2 secondi posti e una semifinale di Champions. Come disse Gene Wilder, "si può fare".
Non ho mai considerato le panchine di Leao come una punizione, ma come scelte tecniche, come l'attesa e la speranza (di un allenatore che non è autolesionista) di spremere la succosa arancia, stimolando gli enzimi. Lo stesso Morata ha detto alla vigilia di Madrid: "E' il più forte di tutti noi". A parte qualche opinionista, lo pensiamo tutti, anche Fonseca. Sei tu a doverci dare ragione.
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