A Firenze la svolta, contro il Cagliari anche il risultato. Ma è il caso di parlare di obiettivo Europa?
A Firenze c’è stata la svolta: una partita giocata con idea, con meccanismi che, per una parte di gara, hanno dettato la supremazia rossonera in campo. Poi l’epilogo ci racconta una sconfitta, amara, come le altre che hanno segnato il cammino nefasto del Milan da quando è cominciato il 2015. Era un segnale troppo flebile, quello di Firenze, per convincere gli ultras rossoneri che, nella partita contro il Cagliari, hanno disertato la curva, esponendo uno striscione con un eloquente, quanto sanguinante “Game Over” che trovava la naturale prosecuzione nello slogan “Insert Coin & #saveacmilan”. Un mix di social-delusione da diffondere a tutta velocità grazie a twitter e l’idea della solitudine come sfondo. Questo infatti il messaggio della Curva che, nel comunicato che ha presentato la protesta, ha sottolineato proprio l’idea, la sensazione forte, di solitudine. Sentimento che i tifosi hanno voluto trasmettere alla squadra lasciando i seggiolini della Sud vuoti. Il messaggio è passato. Se non sul campo, dove il gioco continua, nel resto dello stadio. A far da contraltare alla protesta, nel settore verde, una marea di bambini che, con le loro voci bianche, hanno chiamato a gran voce il Milan. Una situazione surreale, quasi da scontro tra paradiso ed inferno. Inferno, la tana del Diavolo, che finalmente ha impugnato il tridente e ha messo l’onore e l’orgoglio in campo. Il Cagliari di Zeman non è riuscito ad imporsi, se non dopo il vantaggio di Menez, quando il Milan aveva dato l’impressione di chiudersi su di sé, tendendo ad abbassarsi sempre più pericolosamente verso i pali di Diego Lopez. Il pareggio è stata una doccia gelata, i fantasmi delle partite precedenti sembravano essersi risvegliati, aleggiando sulle teste del povero Inzaghi e di quegli undici persi in campo. Ma lo sbandamento è durato poco.
Mexes, forse carico di adrenalina e voglia di rivalsa dopo aver in un certo senso propiziato, facendosi saltare con troppa facilità, il gol di Farias, si è trasformato in attaccante navigato, riuscendo a scagliare un tiro imprendibile, con una coordinazione lodevole e liberatoria. Il Milan era tornato in vantaggio, Inzaghi non riusciva nemmeno a stare per più di un secondo sulla stessa zolla d’erba, esattamente come quando giocava. La voglia di vincere, evidentemente ha preso il sopravvento, così come la consapevolezza di poterlo fare. Questo anche grazie allo stato di grazia di alcuni interpreti. Menez, Mexes, ma lo stesso Van Ginkel che si è imposto a centrocampo, senza dimenticarsi di quel De Jong che, non si capisce per quale motivo, non è ancora stato vincolato in rossonero. Le sembianze del comandante ce le ha e in attesa di Montolivo, ha guidato il centrocampo immolandosi anche in fase difensiva. I crampi l’hanno costretto all’uscita e i fischi per Essien hanno rovinato il momento di gloria che doveva essere sottolineato con un applauso. Il rientro di Abate tra i ranghi ha dato quella velocità che mancava alla manovra rossonera e, nonostante sia sempre stato molto criticato, i suoi cross dalla destra si sono rivelati l’effetto sorpresa. La difesa con Paletta e Antonelli ha trovato solidità, regalando a Diego Lopez anche qualche attimo in più di serenità. Il gol che ha chiuso la partita è l’unica nota stonata. Solo l’arbitro e i suoi assistenti hanno avuto la sensazione che il fallo su Cerci fosse da rigore, provocando la reazione stizzita di Zeman. Per la prima volta in tre mesi, Inzaghi arriva in sala stampa con il volto disteso. Ha riacquistato quell’espressione sbarazzina, che poi prosegue anche nel concedersi a qualche foto prima di allontanarsi da S.Siro. Il tempo, lo stesso che il Milan non può concedersi, sta dando i primi risultati. E nella lotta contro il tempo, spunta ancora il concetto di poter agganciare un posto in Europa League: una boccata d’ossigeno a volte può fare miracoli.
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