L’Empoli schiaffeggia il Milan. Alla faccia dello scarso appeal delle provinciali. Ma Inzaghi da dove ripartirà?
Il pranzo domenicale è andato di traverso al Milan che non può accontentarsi di un pareggio. O meglio: deve ringraziare di aver strappato un punto alla squadra di Sarri che, con il piglio delle grandi, si è presentata a S.Siro con la convinzione di potersi imporre e addirittura di poter sbancare lo stadio. Che l’Empoli abbia giocato una buona partita è fuori di dubbio, ma il Milan, dov’è? La componente sfortuna non ha abbandonato nemmeno contro l’Empoli il cielo degli uomini di Inzaghi, ma non può essere né un alibi, né una banale scusa da apporre all’inizio di un commento. Di scuse non ce ne sono più. Di giustificazioni se ne sono sprecate fin troppe. Soprattutto credo debba far riflettere il concetto sviscerato nel post gara: l’Empoli ha messo in difficoltà la Roma, la Juventus, non possiamo pensare di dominarli. Ammissione di assoluta inferiorità, presa di coscienza delle reali possibilità in campo, risveglio da un sogno che parlava di terzo posto e zona Europa League.
Il Milan dopo l’ennesima sberla, nella prima delle sedici partite che si potevano o dovevano vincere, si accorge di aver vissuto in una sorta di realtà parallela. Con il corpo proteso inevitabilmente al futuro, ma lo sguardo e la testa rivolta al passato che fu. Inzaghi non è esente da colpe, ma al contempo lo reputo non colpevole dello status quo in cui il Milan fatica ad ambientarsi. Inzaghi avrebbe dovuto essere l’allenatore della “ricostruzione ponderata”, quella che avrebbe richiesto tempo, per far maturare sia il tecnico che le forse giovani che avrebbe potuto allenare con successo, come ha fatto con la sua Primavera. Una crescita in prospettiva avrebbe richiesto, se accettata in maniera unanime, meno risorse di quelle spese in questi anni, in attesa oltretutto di poter avere una squadra competitiva magari insieme ad un nuovo stadio o ad altri progetti ambiziosi. Per fare tutto questo però il Milan avrebbe dovuto sacrificare gran parte degli introiti provenienti dal marchio (se si perde appeal, inevitabilmente si diradano anche gli investimenti degli sponsor)e in questo momento la società rossonera non se lo può permettere. Allora si è giocata la carta Inzaghi, che per appeal è sicuramente un leader, mettendolo però nelle condizioni impossibili di dover onorare degli impegni che né lui, né tantomeno la squadra che gli è stata messa a disposizione, avrebbe potuto onorare. Il Milan rischia di bruciare la seconda bandiera in due anni, dopo aver anche dimenticato i due ultimi capitani rossoneri. Maldini e Ambrosini sono stati gli emblemi di come il calcio è cambiato, di come le bandiere facciano in fretta ad essere accantonate. Una caduta di stile che inizialmente è stata tamponata con le vittorie, poi dagli ultimi acquisti eccellenti, ma che poi è esplosa in tutto il suo fragore.
Inzaghi, ribadisco, non è colpevole. La sua colpa è il troppo amore per questi colori dai quali dipende in toto. Glielo si legge negli occhi. Le sue parole, spesso, sono di circostanza o tendono ad alleviare i malumori o sono volte a difendere a spada tratta i suoi ragazzi. Inzaghi quando dice che il Milan non ha giocato male contro l’Empoli, semplicemente vuol sminuire una bocciatura su tutti i fronti. Poi, vero è che l’infortunio di Alex ha stravolto le dinamiche già flebili di una gara, ma dopo il gol di Destro e a parte qualche spunto creato dal solito Bonaventura, si fa fatica a trovare interpreti oppure occasioni in grado di salvare la partita.
La soluzione, in questo momento, per una squadra che, negli occhi, ha solo una paura fottuta di crollare ad ogni azione, non è il cambio di panchina, ma l’assoluta presa di coscienza, da parte anche della società, che anche questa stagione sarà anonima. Questo non vuol dire smettere di lottare, ma farlo consapevoli di non aver nulla da perdere. Così come fanno, di solito, le cosiddette “provinciali” sul campo delle grandi. Dove se perdi, potevi aspettartelo, ma se vinci hai energia spendibile per le prossime gare.
Ma essere squadre di provincia, di questi tempi, è pericoloso … Lotito docet.
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