L’ennesima sconfitta non può essere solo colpa di Inzaghi. La squadra dimostri di meritare la maglia rossonera
“Dennis, la minaccia”. Come il titolo del film. L’Atalanta ha soffocato l’urlo liberatorio del Milan che, ancora una volta, proprio davanti al suo pubblico, in quello che doveva essere il suo “fortino”, perde l’occasione per dimostrare di aver trovato equilibrio e, magari, un’idea di gioco condivisa. No. L’Atalanta strozza in gola ancora una volta l’urlo liberatorio dei rossoneri. Inzaghi nel pre-gara aveva predicato serenità, tranquillità, ma già il suo sguardo lo stava tradendo. Forse la sua apparente tranquillità è dovuta alla consapevolezza di avere ancora del tempo per continuare a lavorare con la squadra che, per prima, gli ha offerto il palcoscenico della serie A. Ma, sono altresì certa, che dentro di sé Inzaghi non è tranquillo. E come potrebbe? Anche da calciatore è sempre stato tarantolato anche sul campo, in panchina ha solo meno metri da percorrere, ma li ripete all’infinito, quasi a poter tracciare il solco con le suole delle scarpe, ora lucide, che schiacciano l’erba davanti alla panchina. La sua espulsione denota delusione, un gesto di stizza innocuo, che però ammutolisce chi l’osserva. Il pacifico ed entusiasta Inzaghi, in sala stampa, cerca di ridimensionare la delusione. A parole ce la fa, ma il suo sguardo basso, la sua ammissione di responsabilità, quasi a voler caricare il fardello solo sulle sue spalle, non lasciano adito a dubbi.
Ma possiamo accettare che Inzaghi sia l’unico a metterci la faccia? Io non credo. Partiamo dal presupposto che non è esente da colpe. Il Milan non ha un gioco che possa essere definito tale dal vocabolario del calcio. O meglio: ha attimi di lucidità, quando tutti gli interpreti stanno bene, alternati a momenti di puro disordine, di caos, di smarrimento. Lo avevo sottolineato già una volta e dopo la partita contro l’Atalanta lo ribadisco: una squadra come il Milan non può dipendere da un solo giocatore. Non lo poteva fare con Ibrahimovic, tanto per citare l’esempio di un leader carismatico, che alle spalle aveva giocatori di elevata caratura tattica e tecnica come Thiago Silva, Pirlo, Seedorf, Gattuso e chi più ne ha più ne metta. Figuriamoci se il Milan di oggi può dipendere in toto dalle lune di Menez, dal suo stato di forma, con alle spalle giocatori che non potrebbero nemmeno mascherarsi dai passati compagni di squadra. E questo, ritengo di non poter essere smentita, non è colpa di Inzaghi. Le sue sperimentazioni tattiche sono tutto ciò che gli rimane di fronte alla pochezza di una rosa ridotta all’osso: non per numero, ma per qualità. Presi singolarmente i rossoneri possono anche essere buoni giocatori, se solo trovassero un equilibrio in campo, se solo scendessero in campo con la fame di chi deve ancora dimostrare tutto. Arrivare nel Milan, evidentemente, per molti di loro è equivalso a raggiungere il massimo delle proprie aspirazioni. Lo dimostra il fatto che ci sono calciatori mai utilizzati che ben si guardano dal mettersi in discussione altrove. Perché fare altra gavetta quando posso uscire di casa con la maglia del Milan? Se qualcuno si stupisce di questo atteggiamento, vive in un altro mondo e in un’altra società civile.
Ma torniamo al fatto che l’unico responsabile dello sfascio rossonero, perché di questo si sta parlando in questo momento, non può e non deve essere il solo Inzaghi. Lui ha accettato la panchina del Milan prima ancora di sapere quale sarebbe stata la composizione della rosa a sua disposizione. Evidentemente ha avuto fiducia nella società di via Rossi. In fondo anche da calciatore ha sempre avuto la percezione della grandezza dei progetti rossoneri. Purtroppo la mancanza di un meccanismo di gioco assodato e metabolizzato da i suoi uomini, la mancanza di uno stile univoco che possa identificare il Milan, non può essere sostituito con la bravura tecnica dei suoi interpreti. Il Milan, nel mercato di gennaio che sta lentamente esaurendosi, avrebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione. Ma l’ultima persona a dirlo fu Seedorf, cacciato anche dalla ribellione di quei giocatori che si sono sentiti presi in causa nel calderone di critiche mosse dall’olandese alla qualità della rosa. Senza tornare in modo massiccio su Clarence Seedorf, il primo vero fallimento della recente gestione della dirigenza rossonera, siamo però spettatori di una decadenza inarrestabile di quello che era stato chiamato “lo stile Milan”. Con queste parole ci si riferiva a tutto ciò che circondava il campo e l’extra campo. Quel passato virtuoso non esiste più. Quel passato fa parte davvero solo dei ricordi e, per il bene di tutti, in primis di Inzaghi, che ad inizio carriera si merita di non dover bruciare su una catasta di legna marcia, la società rossonera, ma anzi, tutto l’ambiente Milan dovrebbe chiudere finalmente il libro del passato per ricominciare a tracciare le linee del proprio futuro. Sono la prima a vivere di ricordi e a trovare qualche cosa di positivo anche nelle sconfitte, nelle delusioni: lo sguardo di Inzaghi, che conoscevo irradiato di luce, entusiasmo, energia, mi fa capire che forse quei ricordi non torneranno tanto in fretta. E poco importa se siamo appaiati all’Inter, che ha come obiettivo il terzo posto.
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