Quanti dubbi per il derby. La duttilità non sempre è un jolly spendibile. Inzaghi alla ricerca di alternative vincenti
La parola d’ordine, nel lento avvicinamento al derby della Madonnina, è mutata. Dall’entusiasmo si passa alla duttilità. Giocatori che possono adattarsi a ruoli diversi da quelli che normalmente rivestono in periodi di assoluta normalità. Nello specifico si parla di Poli, possibile sostituto di un Abate non in forma, nel ruolo di terzino. Si fa di duttilità virtù, senza però accorgersi che in questo modo si rischia di essere in emergenza perenne. Il rischio è quello che si cerchi di tamponare delle situazioni che potrebbero essere risolte, invece, con la presa di coscienza delle reali forze a disposizione. In rosa Inzaghi ha almeno due giocatori, di ruolo, che potrebbero sopperire all’assenza del terzino, ma evidentemente il loro livello non è ritenuto idoneo. La domanda sorge spontanea, ancora una volta: che ci fanno giocatori come Albertazzi, Armero, Zaccardo nella rosa del Milan se, quando il titolare manca non vengono presi in considerazione?
Il derby è una partita a sé, va oltre il mero risultato, anche se questo diventa fondamentale per una classifica che comincia a delineare le reali forze del campionato. L’obiettivo terzo posto, sfiorato, perso, riavvicinato e fallito, può entrare nel novero dei miraggi, ma il Milan a S.Siro contro la squadra in crisi di Mazzarri potrebbe togliersi qualche soddisfazione. Ciò che accomuna le due società, ormai surclassate da realtà meglio programmate nel corso degli anni, è quella mancanza di appeal che rischia di far fallire anche i progetti extra-campo legati in modo indissolubile ai marchi sportivi. Dallo sponsor day, tenutosi per la prima volta a casa Milan, esce un chiaro messaggio: il brand diventa una fonte di entrate preziose solo se i tifosi continueranno ad intravvedere la possibilità di esserne orgogliosi. Le iniziative legate anche al pre-gara allo stadio milanese, fanno leva proprio sul grande affetto dei partecipanti sugli spalti alle gare casalinghe. Il problema è che i risultati non proprio incoraggianti di entrambe le formazioni all’ombra della Madonnina, fanno presagire scenari nefasti. Gli spalti semivuoti al trofeo Berlusconi e nella gare non di cartello sono un segnale inequivocabile che, in tempi di crisi, anche il tifoso fa le sue scelte. Vedere un Milan in quasi totale disarmo, perché nelle ultime partite la formazione di Inzaghi non è apparsa abbastanza lucida da poter dettare almeno il tempo del proprio gioco, crea un danno di immagine che, però, la stessa società ha contribuito a creare. Rispetto alla scorsa stagione, con un Milan che ha ottenuto una posizione di classifica nettamente al di sotto degli standard abituali, ma conforme al reale potenziale a disposizione degli allenatori che si sono succeduti sulla panchina rossonera e, nonostante i campanelli d’allarme fatti risuonare anche dalla parole che poi hanno condannato Seedorf nello spogliatoio, la squadra, pur per buona parte rivoluzionata, non è stata oggetto di un’opera di ristrutturazione adeguata ai nuovi obiettivi. Soprattutto, con il senno di poi, è stata infarcita di giocatori che ben poco possono dare alla causa di Inzaghi. Un centrocampo che boccheggia, e che proprio nella stracittadina potrebbe perdere il miglior interprete: quel De Jong gladiatore che si è immolato per la causa. Una difesa che non ha ancora trovato l’assetto definitivo, con De Sciglio alla costante ricerca di prestazioni adeguate ad un giocatore del suo calibro e tartassato dalle critiche. Un reparto offensivo nel quale spiccano le doti dei singoli,El Shaarawy in ripresa, Honda in fase calante, Menez discontinuo e che quindi ancora latita nell’essere determinante soprattutto con le squadre di medio-basso livello. Non sono queste le carte spendibili per poter parlare di un nuovo ciclo rossonero. Inzaghi lavora assiduamente nel tentativo di coordinare gli uomini a disposizione con le sue idee. Ma viene destabilizzato dalla necessità di non sfigurare, senza quindi la possibilità di procedere, come a volte capita, anche per tentativi, dovendo dunque ricorrere alla duttilità e non alla possibile qualità d’esecuzione di un ruolo preciso. L’allenatore rossonero ha qualche talento a disposizione, misto a giocatori che hanno voglia di potersi confrontare con il campionato italiano. Ad esempio Van Ginkel, che in Olanda poteva essere considerato ormai una certezza e non, vista l’età, un ragazzino a cui far fare qualche prima esperienza. La mentalità del nostro calcio va rivista, lo sappiamo e ce lo raccontiamo da tempo, soprattutto da quando, nelle casse delle nostre società, si sente solo l’eco del tintinnio di moneta sonante.
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