Il mostro a due teste non porta a niente: ci vuole una linea di comando chiara o si farà sempre questa fine

È dal 2012 che il Milan vive con una realtà che è inconfutabile, ovvero la “sindrome del mostro a due teste”. In principio fu il duopolio Adriano Galliani-Barbara Berlusconi a generare le picconate su un Milan in fase di profondo, lungo, anonimo e triste ridimensionamento, con anni fuori dalle coppa europee, finali di Coppa Italia illusorie e ambizioni di grandeur che non potevano essere mantenute in nessun modo visto il disimpegno della proprietà a livello finanziario e la lotta intestina tra i due amministratori delegati.
Quando arrivò la proprietà cinese, almeno a livello epidermico, sembrò la svolta poiché la linea di comando interna al club era stata definita in maniera chiara: Marco Fassone era il plenipotenziario (con le cariche di amministratore delegato e direttore generale) mentre Massimiliano Mirabelli era diventato il ds del Milan. Ma tutti ci ricordiamo come dopo la faraonica campagna acquisti dell’estate 2017 con 250 milioni impegnati sul mercato, iniziò a crearsi la frattura tra i “pro cinesi” e quelli che dubitavano sull’effettiva solidità economica di Yonghong Li. Ma anche in quei mesi, il Milan non visse mai in serenità tra turbolenze economiche che, alla fine portarono il misterioso imprenditore cinese a perdere il controllo del club, finito nelle mani del fondo Elliott.
La ristrutturazione economica del Milan da parte della gestione dei Singer non è sindacabile, ma anche qui non si sono vissuti anni sereni. Prima la gestione Leonardo con Maldini come apprendista ritenuta esosa, poi la promozione di Paolo a direttore dell’area tecnica (affiancato prima da Boban e Massara, poi solo da quest’ultimo dopo il licenziamento di Zvone che aveva scoperchiato il vaso di Pandora in merito alle invasioni di campo...) con le diversità di vedute su come si sarebbe dovuta gestire la parte economica relativa alla squadra. I rapporti tra Maldini e Gazidis non erano di certo dei migliori ma non è un caso che quando venne trovata una linea d’equilibrio, la squadra iniziò quella bellissima scalata allo scudetto più bello di sempre. In quella circostanza, i giocatori avevano dei punti di riferimento nei quali credevano così come è stato fondamentale il lavoro di Stefano Pioli, sia sul campo sia fuori da esso. Ma anche qui, si è sempre parlato di faide e visioni molto diverse dentro le stanze dei bottoni di casa Milan.
Il licenziamento di Paolo Maldini del giugno del 2023, per incompatibilità di visioni con le idee di Gerry Cardinale che, nel mentre, aveva preso il Milan da Elliott, aveva portato ad una grandissima frattura tra una fetta importante della tifoseria (schierata con Maldini) e l’attuale proprietà. L’allontanamento dell’ex dt ha portato all’istituzione del ribattezzato “gruppo di lavoro” formato da Furlani, Moncada e D’Ottavio. Il mercato fatto quell’estate, frutto della cessione di Sandro Tonali al Newcastle, non ha reso per quelle che erano le aspettative e il risultato, alla lunga, è stato il prendersi in faccia la seconda stella dell’Inter nel derby. Uno smacco inverecondo, che non ha fatto breccia in chi avrebbe dovuto compiere quella reazione per rinvigorire una piazza che era assetata di vendetta sportiva.
Invece no, perché la ricreazione del mostro a due teste che si racconta in quest'ultimo periodo (Furlani da una parte, Ibra dall'altra) ha portato alla situazione attuale. Prima il balletto sull’allenatore, poi su chi avrebbe dovuto prendersi le responsabilità dell’esonero di Fonseca e la tempistica ritardata che ha tolto al successore, in questo caso Conceiçao, del tempo importante per poter lavorare con la squadra. Poi gestione di Milan Futuro (che rientra nella competenza di Jovan Kirovski, uomo di Ibrahimovic) e ora la decisione da prendere sul nuovo direttore sportivo, con anche qui – ad oggi – una mancanza di condivisione sul profilo.
Una società forte internamente porta sempre risultati, una società divisa creerà sempre situazioni negative. E' la storia che ce lo dice e la storia, specialmente nel calcio, è ciclica e torna sempre.
È ora che tutte le situazioni si diramino, perché per tornare ad essere un Milan sereno e competitivo, c’è bisogno di ristabilire UNA LINEA DI COMANDO CHIARA, senza invasioni di campo, veti, o che la mano destra non sa cosa fa la sinistra. Perché prendere un nuovo direttore sportivo senza mettergli alle spalle delle certezze potrebbe essere solo ed esclusivamente un altro foglio di carta velina su una finestra rotta mentre fuori spira vento di Tramontana.
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