Storia dei cavalli di ritorno, finale quasi mai lieto
Toni e Borriello sono gli ultimi due cavalli di ritorno di una lunga lista, di grandi giocatori che hanno fatto più e (soprattutto) meno bene alla loro seconda avventura. Accolti sempre come eroi, quasi nessuno è riuscito a ripetere le gesta del passato, alcuni facendo clamorosi tonfi: il caso più eclatante è quello di Andryi Shevchenko, l'attaccante che più di tutti ha fatto innamorare i tifosi milanisti alla ricerca un vero erede di Marco van Basten: 2 titoli cannoniere, un pallone d'oro, una Champions, una supercoppa europea, un campionato, una coppa Italia, 127 reti in 208 partite. Tutto questo in sette intensi anni. Prima del trasferimento record al Chelsea, inizio della parabola discendente. Due anni non certo esaltanti e la voglia di tornare in quella che era la sua seconda casa che si fa irresistibile. Alla fine Milan e Sheva si riabbracciano nell'estate del 2008, quasi come se non si fossero mai lasciati. Il giocatore però non è più quello di prima e il bilancio è a dir poco fallimentare: in totale sono 2 reti in 26 presenze, con l'incredibile "score" di zero reti in campionato. La favola a lieto fine in realtà finisce con la seconda separazione, portando Sheva ad essere ancora cavallo di ritorno, stavolta con più fortuna, nella Dinamo Kiev.
Qualche anno prima dell'Ucraino stesso esperimento con Ruud Gullit, altro giocatore che aveva vinto tutto in rossonero. Lascia nel 1993 e approda a Genova per "scelta di vita" come da lui stesso ammesso. Il Milan vincerà comunque campionato e Champions League e Gullit diventerà l'idolo dei blucerchiati, segnando 15 reti e vincendo la Coppa Italia, ma l'attrazione tra le due parti è ancora troppo forte e dopo solo un anno di separazione ecco la ricongiunzione. Un legame mai finito, sembrerebbe, tanto che Gullit parte forte sia in precampionato che in campionato, segnando 3 reti in 3 partite. Poi il calo, nessun gol e qualche frizione con l'ambiente. A sorpresa, a novembre, Gullit torna alla Samp in cambio di Alessandro Melli.
Cavallo di ritorno non certo fortunato quello di Fabio Cannavaro, arrivato alla Juve nel 2004 dall'Inter, tirato a lucido dai bianconeri tanto da essere uno dei migliori centrali al mondo, fino all'apoteosi del mondiale vinto nel 2006. Il terremoto Calciopoli lo porta a lasciare Torino per andare a Madrid. Tre anni in Spagna e poi la mancata riconferma. Così, pur con l'ostilità della tifoseria, nell'estate 2009 il giocatore torna a Torino ed è coinvolto in una delle peggiori stagioni dei bianconeri, che chiudono settimi e cambiano allenatore a stagione in corso. Per Cannavaro dopo un inizio da titolare, un finale di stagione ai margini: 27 presenze e di nuovo addio, verso la pensione dorata di Dubai.
La storia ci porta altri protagonisti in situazioni simili: Parma ricorda bene l'Asprilla bis, tutt'altro che brillante rispetto a quando approdò per la prima volta in Italia, facendo ammattire le difese avversarie e mandando in frantumi l'imbattibilità del Milan che durava da 58 partite. Riuscirà comunque nella seconda parentesi, se pur da comprimario, a vincere una Coppa Uefa. Da meteora il ritorno di Thomas Brolin sempre a Parma. Lo svedese, uno dei primi tre stranieri della storia dei ducali e approdato nel 1990 dopo i mondiali in Italia, fece le fortune della squadra di Scala prima di andare a Leeds e ritornare in sovrappeso mettendo su 15 presenze. Meglio l'avventura di Crespo, forse il miglior centravanti del più grande Parma mai visto, ceduto nel 2000 per la cifra record di 110 miliardi di lire alla Lazio e poi ritornato dieci anni dopo chiudendo dignitosamente una straordinaria carriera.
Uno dei ritorni più suggestivi in assoluto è quello di Paolo Di Canio. Il ragazzo del Quarticciolo che incantava da ragazzino i biancocelesti, decidendo a 20 anni un derby che mancava da tre anni alla città di Roma, dovette lasciare la sua amata squadra a 22 anni per motivi economici dei biancocelesti. Andò alla Juve e da lì Napoli, Milan, Scozia e Inghilterra, dove trovo nel West Ham il suo habitat naturale. Nel 2004, a 36 anni, la nuova proprietà si gioca la carta romantica e riporta a casa 14 anni dopo il figliol prodigo, che non delude: segna alla prima giornata, conduce i suoi a un altro derby vinto, segnando ed esultando con rabbia sotto la curva giallorossa. La sua esperienza durerà due anni, prima di chiudere alla Cisco Roma e iniziare alla grande la carriera di allenatore.
Ma ci sono anche altre storie di grandi ritorni, più o meno fortunati: Lucarelli e Protti, che non hanno mai fatto mancare il loro contributo in zona gol sia nella prima che nella seconda parentesi, oppure Caniggia che ha accettato la Serie B pur di tornare all'Atalanta, sebbene non fosse riuscito a ripetere le gesta dei primi anni '90. E poi Oliveira, Montella fino ai recenti Bojinov e Chevanton che è tornato nella "sua" Lecce per la terza volta e si è legato, primo calciatore in assoluto, a vita nel club firmando un contratto a tempo indeterminato.
Infine, Bobo Vieri, il cui doppio ritorno all'Atalanta ha portato una catena di reazioni e sentimenti totalmente opposti. Lanciato dagli orobici nella stagione 1994/95, prima di farsi notare dalla Juve, tornerà a Bergamo nel 2006 al minimo federale, con bonus di 100mila euro a gol. Il giocatore è reduce da un grave infortunio che gli ha fatto compromettere il mondiale 2006, portandolo anche quasi a smettere di giocare, Bergamo lo rimette in sesto e Vieri a fine stagione trova l'accordo con la Fiorentina. Il secondo addio, già poco gradito dalla tifoseria diventa porta al rapporto fra Vieri e supporters nerazzurri a rompersi definitivamente quando in un Fiorentina-Atalanta Vieri segna ed esulta. Gesto non perdonato, tanto che nell'estate 2008, quando clamorosamente viene annunciato il terzo ritorno del giocatore, la tifoseria lo accoglie con slogan di sfida e di ostilità. Vieri resiste qualche mese, segna due gol in 9 partite, poi si arrende e decide di rescindere, chiudendo amaramente il rapporto.
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