La classe al potere

La classe al potereMilanNews.it
© foto di Filippo Gabutti
sabato 31 luglio 2010, 01:15Terza pagina MilanDay
di Milan Day

Se vi è mai capitato di sfogliare qualche libro dedicato alla storia del Milan, sicuramente il vostro sguardo si sarà fermato sulla foto in bianco e nero di un calciatore elegante, dal look sempre perfetto, coi capelli impomatati insolitamente sempre in ordine e divisi da una riga, il viso perfettamente sbarbato. E se mossi dalla curiosità di sapere chi era quell’uomo vi sarete imbattuti nelle sue note biografiche, avrete sicuramente scoperto che si tratta di uno dei più grandi giocatori di calcio di ogni epoca. Già, perché sono pochi i calciatori che sono entrati nella storia del calcio mondiale come ci è entrato Juan Alberto Schiaffino, e cioè senza nemmeno un filo di retorica ma semplicemente con la forza delle sue gesta che lo hanno letteralmente proiettato nel “mito”!
Scrive di lui Gianni Brera: “Forse non è mai esistito regista di tanto valore. Schiaffino pareva nascondere torce elettriche nei piedi. Illuminava e inventava gioco con la semplicità che è propria dei grandi. Aveva innato il senso geometrico, trovava la posizione quasi d’istinto.”
Lo scrittore Eduardo Galeano invece lo descrive così: “Con i suoi passaggi magistrali organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando il campo dal punto più alto della torre dello stadio.”
Insomma, avrete capito che chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare dal vivo, ha ammirato un calciatore immenso, un interno di sinistra dalla tecnica sopraffina che si trasformò poi in regista dalla visione di gioco notevole e dall’intelligenza tattica eccezionale, dote che gli permetteva di capire con anticipo l’evolversi dell’azione e di passare il pallone al compagno meglio piazzato per il tiro. Gioca la palla sempre a testa alta e sembra muoversi sempre in punta di piedi.
Quando Schiaffino arrivò in Italia, nella stagione 1954/55, un giornale di Montevideo titolò “Il Dio del pallone ci ha lasciato. Una perdita irreparabile”. Eh sì, perché Pepe Schiaffino (il nomignolo gli fu dato dalla madre per il suo carattere da “peperino”) era già diventato una leggenda del suo Paese in quanto era stato il protagonista principale de “El Maracanazo”, e cioè come quello che viene ricordato come il “colpo gobbo” più clamoroso della storia del calcio. Siamo nel 1950 ed in Brasile si disputa la Coppa Rimet, vale a dire la fase finale dei Campionati Mondiali di Calcio. I padroni di casa brasiliani sono i grandi favoriti per la vittoria finale, e tutto sembra andare secondo i pronostici fino all’ultima partita di quel torneo, che si disputò il 16 luglio 1950 al Maracanà di Rio de Janeiro davanti a 200.000 tifosi. Brasile-Uruguy non è la finale, perché in quella edizione la formula è quella del girone all’italiana che darà il titolo alla prima classificata. Non è una finale, ma di fatto lo è. E’ l’ultima partita e al Brasile basta il pari per diventare campione, mentre l’Uruguay deve vincere ad ogni costo. I brasiliani si aspettano solo di vincere, e nessuno osa immaginare il contrario, neanche i dirigenti uruguagi! E le cose effettivamente si mettono benissimo per i verdeoro: segna Friaca, e tutto il Brasile è in delirio. Ma nessuno ha fatto i conti con l’orgoglio dei giocatori della “celeste” con a capo il loro capitano Obdulio Varela. Il delirio dei brasiliani prima si affievolisce e poi si trasforma in tragedia col passare dei minuti. Trascinati da uno Schiaffino incontenibile, l’Uruguay prima pareggia con lo stesso Schiaffino e poi vince 2-1 con un gol di Ghiggia su assist sempre del Pepe! Per l’Uruguay è il secondo titolo mondiale, per il Brasile un vero dramma: quella notte vennero certificati 34 suicidi e 56 attacchi cardiaci. Tenterà di suicidarsi anche il difensore del Brasile Danilo. Schiaffino diventa l’idolo incontrastato di una nazione e la sua grandezza si tramanderà fino ai giorni nostri, al punto che qualche anno fa è stato nominato come il più grande giocatore della storia dell’Uruguay. Schiaffino farà grandi cose con la sua nazionale anche nei Mondiali successivi, quelli di Svizzera 1954: guiderà i suoi fino alla semifinale persa sfortunatamente contro la Grande Ungheria, e nonostante la mancata vittoria sarà nominato il miglior giocatore di quel torneo.
In quegli anni Schiaffino giocava in patria con la maglia del Penarol, la squadra più prestigiosa del paese con cui aveva conquistato 5 titoli in nove stagioni. Alla vigilia dell’edizione dei mondiali elvetici, il “genovese” Schiaffino si fece convincere dai milioni del presidene milanista Rizzoli, che lo acquisterà per l’importante cifra di 100.000 dollari. Da quel momento diventerà il perno intorno al quale ruoterà un grande Milan, capace di vincere molto trascinata dal suo “regista” italo-uruguaiano. Eh sì, perché Pepe era di chiare origini italiane. Nato a Montevideo il 28 luglio 1925, era originario della Liguria da dove era partito il nonno (sembra da Portofino), come molti altri italiani agli inizi del Novecento era emigrato in Sudamerica in cerca di fortuna. Secondo gli aneddoti, Alberto Schiaffino ha sempre avuto proprio uno “spirito ligure”: era molto parsimonioso (Liedholm diceva sempre che la cosa più difficile era farsi offrire un caffè da Schiaffino) e si dimostrò in grado di gestire molto bene i suoi guadagni facendo numerosi e fruttuosi affari soprattutto nel campo dell’immobiliare. Per il suo carattere spigoloso, burbero ed introverso, spesso ebbe dei problemi coi suoi allenatori (spesso litigava con Gipo Viani) ed andò incontro a squalifiche e tensioni. Quando Schiaffino arriva in Italia ha già compiuto 29 anni, ed a Montevideo pensano di aver dato via un giocatore già in fase calante. Sarà un errore clamoroso, perché non solo Schiaffino gioca un mondiale eccezionale, ma disputerà con la maglia del Milan sei stagioni da grandissimo protagonista insieme ai vari Nordhal, Grillo, Maldini ed Altafini. Al suo debutto (1954/55) conquista subito lo scudetto (il quinto per il Milan) e si dimostra anche molto prolifico, mettendo a segno 15 reti in 27 presenze. Si dimostrerà un buon cecchino anche nella stagione successiva (16 reti in 29 gare) ed in quella 1956/57 in cui coi suoi 9 gol contribuirà alla conquista del sesto scudetto milanista. Nello stesso anno sarà anche tra i protagonisti della conquista della prestigiosa Coppa Latina.
Nel 1957/58 sfiorò con il Milan la conquista della prima Coppa dei campioni. Il Milan disputò la finale all’Heysel di Bruxelles contro il grande Real Madrid di Di Stefano Gento, e fu sconfitto per 3 a 2 dopo i tempi supplementari. Nonostante la sconfitta Pepe brillò più del mitico Di Stefano, segnando anche il gol che sbloccò il risultato al 60’.
Le conquiste proseguirono la stagione successiva, quando conquistò il suo terzo scudetto con la maglia del Milan. Finirà la sua esperienza in rossonero l’anno successivo, quando all’età di 35 anni e dopo sei stagioni da mattatore decise di trasferirsi alla Roma di Bernardini dove rimase per due stagioni, giocando da libero e partecipando alla conquista della Coppa delle Fiere.
Prima di andare dal Milan designò il suo successore nel giovane sedicenne di Alessandria Gianni Rivera. La leggenda vuole che quando Gipo Viani si trovò a convincere il presidente del Milan Rizzoli ad investire una certa cifra per acquistare il giovane talento Rivera, al telefono gli disse “presidente, al Moccagatta c’era la nebbia e non si capiva chi era Schiaffino e chi Rivera!”. Bastarono queste parole a convincere lo scettico Rizzoli al sacrificio economico: il nome di Schiaffino non si spendeva mai per scherzare, e quelle parole valevano più di ogni referenza!
Oltre alla maglia della nazionale uruguagia, Schiaffino, per le sue origini, indossò anche la maglia della Nazionale italiana. Erano gli anni degli oriundi, ma la sua esperienza con la maglia azzurra fu breve (solo quattro presenze) e poco felice: partecipò alla gara di Belfast persa contro l’Irlanda del Nord (2-1) che costò all’Italia la mancata partecipazione ai mondiali di Svezia ‘58, l’unica fase finale a cui la nostra nazionale non ha preso parte.
Nel 1962 Schiaffino appende le scarpe al chiodo e se ne torna in Uruguay ed intraprende la carriera di allenatore, carriera intrapresa senza troppa convinzione e chiusa molto in fretta. Decide così di dedicarsi alla gestione dei suoi affari ed alla sua vita familiare insieme alla sua inseparabile moglie Angelica, che aveva conosciuto nel 1942 su un autobus. La loro fu un’esistenza felice, e quando nel nel 2002 la moglie lo lasciò per sempre, lui pensò di seguirla nell’al di là solo qualche mese dopo: il 13 novembre del 2002 si spense a causa di un male incurabile. A dare l’annuncio fu direttamente la ditta delle pompe funebri, in quanto, non avendo figli, era rimasto solo nella sua casa di Montevideo. Ma all’annuncio della sua dipartita il mondo dimostrò di non essersi scordato di lui: in Uruguay l’annuncio fu sottolineato con l’espressione “Gloria de nuestro futbol, protagonista del Maracanazo. El adiòs a un grande, se fue Schiaffino”.
In Italia il Milan lo ricordò con tutti gli onori del caso, ed il pubblico di San Siro lo salutò nello stesso modo in cui lo aveva sempre “coccolato”: con un lungo ed interminabile applauso.



di Gianpiero Sabato