Freddezza, silenzio, scarsezza di risultati e di ambizioni: ecco cosa si pensa del Milan fuori dalla torre d'avorio

A prescindere da come sia finita ieri sera contro l’Atalanta, è innegabile a tutti quello che è il momento storico attorno a questo Milan. Siamo davanti a una situazione dove la fiducia è stata totalmente azzerata nei confronti di proprietà e management, dove non si respira un minimo di passione vera da parte di chi dovrebbe essere il motore di questo ciclo. Se si guarda a quello che accade in casa Inter, c’è solo da guardare e sperare che, un giorno, più di qualcuno prenda esempio. I risultati sportivi della squadra allenata da Simone Inzaghi sono lo specchio fedele di una situazione ambientale che tutta compatta, coesa e che ha portato alla seconda semifinale di Champions League negli ultimi tre anni. Non è un caso, è frutto di una programmazione seria, di una catena di comando solida, di zero pettegolezzi e tanta concretezza, dove Ausilio non vuole fare le scarpe a Marotta così come Baccin non le vuole fare ad Ausilio. Di sicuro, anche di là, ci saranno diversità di vedute, ma sono tenute sottochiave da un abile strategia comunicativa che consente all’Inter di poter essere al riparo dai venti di Tramontana che, invece, ci sono spesso e volentieri sul pianeta Milan. Basti pensare anche a come l’Inter sia uscita indenne dal passaggio da Zhang a Oaktree, mentre qui al Milan aleggiano sempre le voci del duopolio RedBird-Elliott, che formalmente non esiste ma essendo il fondo dei Singer creditore di Gerry Cardinale, in qualche modo esiste. Nessuno si chiede perché il Milan sia in balia dei media mentre l'Inter no?
Qui al Milan nessuno è al sicuro, nessuno è al riparo, nessuno gode di immunità anche quando pensa di averne. Non c’è un singolo dirigente rossonero che, ad oggi, goda della stima dei suoi tifosi. Da Scaroni, che quando parla di Milan fa gaffe comunicative da anni sia sul lato sport sia sulla vicenda stadio passando per Furlani e Ibrahimovic, nessuno ha un indice di gradimento positivo. La sensazione forte, fortissima, è che tra New York e Casa Milan, ci sia una sorta di realtà parallela dove quello che accade al di fuori del masterplan non esista, non generi reazioni di sorta. Ed è questo che fa abbassare ulteriormente la passione dei tifosi. Non serve gonfiarsi il petto per 18 mila spettatori stranieri annunciati per ieri sera, perché non è di questi numeri che bisogna esultare. Anzi, bisogna preoccuparsi quando si entra in un San Siro si pieno, ma allo stesso tempo freddo e grigio, dove nemmeno i cori più iconici della Sud trascinano come prima.
Al Milan manca l’ossessione per la vittoria, quella fame che deve partire dall’alto per arrivare ai giocatori. Ormai il club viaggia per compartimenti stagni, con un’anima fredda e un cuore di ghiaccio. Gli scudetti della sostenibilità e del bilancio non fanno palmares. Cardinale viene tenuto a distanza da Milano, il modello fin qui attuato è stato fallimentare e ha portato all’attuale situazione di classifica. La ricerca del nuovo direttore sportivo è una questione talmente vitale che solo chi ha le fette di salame sugli occhi non capisce. Attendere un ds attualmente sotto contratto fino a fine maggio potrebbe essere un rischio enorme, specie se non si dovesse avere la certezza che questo profilo venga liberato. L’auspicio è di non essere ridotti ad un declassamento di classe sociale calcistica dal quale ci si era lentamente risollevati dopo la Banter Era. Perché qui siamo al Milan e non, con tutto il rispetto, il Monaco 1860 a livello di considerazione. Finire fuori dalla prossima edizione della Champions League sarà un bagno di sangue a livello economico, dove dovranno essere bravi a fare cassa con i prestiti e senza vendere i big. Ma senza una società competitiva, la squadra non lo sarà a sua volta.

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