Il Re lascia un regno in ridimensionamento
Sbarcò a Malpensa il 16 agosto 2003, accompagnato da Ariedo Braida e suo padre Bosco Leite: occhialini sul naso, il look poco curato, da "commercialista" come lo definì qualcuno. Se ne andrà, salvo colpi di scena, con una famiglia in più, con la splendida moglie Caroline ed il piccolo Luca, ma soprattutto con tanti trofei in valigia ed il cuore di milioni di tifosi che giurano di non scordarlo mai: Ricardo Kakà è stato, più di chiunque altro, il simbolo di questo Milan che ha saputo rinascere dal processo di Calciopoli, vincendo tutto ed arrivando sul tetto del Mondo: ma questo evidentemente, non è bastato più a nessuno, nè al fuoriclasse di Brasilia, nè alla società di via Turati, dal Presidente Berlusconi all'amministratore delegato Adriano Galliani. Qualcosa si è incrinato, non lo si può più negare, al di là del fatto che Kakà accetti o meno l'offerta del Manchester City lunedì sera, quando suo padre Bosco incontrerà gli emissari dei Citizen per ottenere risposta alle condizioni già dettate in queste ore: se non sarà il City, ci sarà un altro Real Madrid, un altro Chelsea in estate che sapranno come entrare come una lama nel burro in quell'ex fortino imperforabile che sembrava la sede di via Turati 3 per strappare il gioiello più lucente di una corona che rischia di smettere di splendere. Facendo l'avvocato del Diavolo, mai modo di dire fu più opportuno, sarebbe stato forse immorale respingere al mittente certe cifre in un periodo di crisi globale ma anche calcistica, quasi il 200% del precedente record detenuto dal Real Madrid per Zinedine Zidane: ciò che probabilmente dovrebbe preoccupare i tifosi rossoneri almeno quanto la partenza del numero 22, è che il Milan ha dimostrato nel passato di non avere la freddezza, l'occhio lungo o semplicemente la capacità di piazzare colpi come furono Buffon, Thuram e Nedved, quelli che metaforicamente fanno esclamare ai tifosi "E' morto il Re. Viva il Re". Lo era diventato, Re di Milano, Kakà, con quel Pallone d'Oro alzato al cielo in Piazza Duomo poco più di un anno fa: chissà che non sia stata proprio quella la maledizione di questa lunga storia d'amore che sembrava eterna, visti i precedenti dei vari Zidane appunto, ma anche Ronaldo, Shevchenko e che non risparmierà probabilmente neanche Cristiano Ronaldo.
Sarebbe facile, come si trattasse di un simulatore manageriale calcistico, metterci a fare la lista della spesa col pallottoliere, contando quanti milioni di euro avanzerebbero a Galliani tra un Benzema ed un Agger, tra un Mexes ed un Hamsik, tra un Gourcuff ritrovato ed un Mattioni benvenuto: l'economia ci insegna però che la merce sale di prezzo in base alla sua richiesta, specie se impellente e da parte di chi può spendere qualsiasi cifra pur di non rimanere a bocca asciutta. Se Ricardo Oliveira era stato giustificato come l'anticipo di Ronaldinho, ora non ci sono più scuse: 120, forse 150 milioni entreranno, 300 ne andrano spesi per dimostrare che la passione e la potenza di Berlusconi non è seconda di certo a quella di Abramovich, Mansour Bin Zahyed e chi più ne ha più ne metta. Ammesso che sia ancora davvero così, con qualche dubbio lecito dopo l'ultima, incoerente gestione della situazione, avendo fatto vanto per anni dellla natura romantica del Milan, che "non vende i suoi campioni". Che un rilancio da contrapporre al ridimensionamento sia utopia o meno, lo scopriremo entro una settimana, visto che gli inglesi più arabi d'Oltremanica contano di annunciare il loro secondo, grande botto (dopo l'arrivo di Robinho sulla sirena del mercato estivo) al più tardi giovedì prossimo, in tempo per farlo esordire contro il Newcastle mercoledì 28 gennaio allo splendente City of Manchester, tra i flash del mondo intero che hanno già dimenticato l'arrivo di Ronaldinho e di Beckham. Milanello non sarà più l'ombelico del Mondo senza Ricardo Izecson dos Santos Leite? Un principe ereditario c'è ed ha dimostrato all'Olimpico di essere pronto per salire al Trono: senza un regno all'altezza, il rischio concreto di perderlo però presto, prestissimo, adulato da altre proposte, è un incubo che il Milan, ma il calcio italiano in generale, ha il dovere di scongiurare
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