Gullit: "A Napoli serve un'impresa. Il Milan deve riscoprire il proprio dna"

Intervistato dai taccuini de La Gazzetta dello Sport, l'ex Ruud Gullit ha presentato la sfida del Diego Armando Maradona tra Napoli e Milan, partita che l'olandese in carriera ha avuto la possibilità di giocare, e vincere.
Gullit, si aspettava una stagione così deludente da parte del Milan?
"Mi ricorda quella del Chelsea, un’altra squadra che in questo momento è... un enigma. Sinceramente non ho capito che tipo di calcio voglia fare il Milan. Secondo me non ha trovato la direzione giusta: sulla carta la rosa è forte, soprattutto dopo il mercato di gennaio, e la vittoria della Supercoppa italiana, sembrava aver risolto tutti i problemi. Invece non è stato così: quell’affermazione in Arabia Saudita non ha trasmesso una reale sicurezza al gruppo e non c’è stato un miglioramento importante rispetto alla prima parte della stagione".
Come si risolve il problema?
"Come ha fatto il Psg, quando ha smesso di comprare stelle, ha preso un allenatore, Luis Enrique, con una filosofia di gioco brillante e ha valorizzato il settore giovanile. Un altro esempio è il Liverpool che ha sostituito Klopp con un tecnico con la stessa filosofia e Slot sta vincendo la Premier . Il Milan ha bisogno di ritrovare le proprie radici, il proprio dna. Il successo non si può comprare, ma va cercato con il lavoro e le scelte giuste".
Servirebbe un tecnico come Conte o Allegri?
"Non so chi sia la scelta giusta. Ciò che conta è assumere un allenatore che si adatti all’identità del club, qualunque essa sia. L ’Inter , ad esempio, ha una sua filosofia e un sistema di gioco chiaro, un tecnico che lo mette in pratica alla perfezione ed elementi adatti al 3-5-2. Il Milan deve riscoprire il proprio dna e trovare un indirizzo a livello dirigenziale prima ancora di pensare al manager giusto".
Cosa pensa della crescita di Reijnders?
"Le sue ultime stagioni sono state incredibili ed è un giocatore che ci sta esaltando. Lo conosco dai tempi delle giovanili all’Az Alkmaar e sono molto orgoglioso dei progressi che ha fatto. È diventato un top a livello mondiale segnando tanti gol e giocando alla grande con continuità".
Reijnders domani sarà protagonista in Napoli-Milan, la partita che nel 1988 ha regalato a lei il primo scudetto. Cosa ricorda di quel match?
"È stata una grande avventura (ride, ndr) perché non ero mai stato a Napoli nella mia vita. Il sabato, prima della partenza, ero perplesso perché noi giocatori e lo staff tecnico eravamo su un aereo, mentre su un altro più piccolo c’erano diversi addetti alla sicurezza e... il cibo. Arrivati al Jolly Hotel di Napoli, occupammo tutto l’ultimo piano, blindato dalle nostre guardie del corpo e solo loro potevano avvicinarsi al cibo che veniva cucinato dai cuochi che erano partiti con noi. C’era la paura che qualcuno potesse mangiare qualcosa di non buono e poi non potesse giocare (ride, ndr)".
La domenica poi la sfida al San Paolo
"Quando con il pullman andavamo allo stadio, ci tirarono arance, pietre e qualsiasi tipo di oggetto. C’era un’atmosfera pazzesca, ma vincemmo".
Nonostante di fronte ci fosse Maradona.
"Sfidare un fuoriclasse come lui era elettrizzante: Diego era un campione pazzesco. Fu eccezionale anche il pubblico napoletano che dopo quel successo ci applaudì. Davvero indimenticabile".
Contro il Napoli, ma nella gara d’andata di quella stagione, le fu invece consegnato il Pallone d’oro.
"Per anni avevo sostenuto in modo silenzioso il partito sudafricano che lottava contro l’apartheid, ma quando vinsi il Pallone d’oro, decisi di dedicarlo a Mandela che era in carcere. In Italia la sua vicenda non era conosciuta e molti non sapevano chi fosse. Quando l’ho incontrato in Sudafrica, “Madiba” mi disse che aveva temuto che sarei stato punito. Le sue parole sono state emozionanti".
Il Milan può ripetere un’impresa come la vostra al San Paolo?
"Spero che finisca allo stesso modo, ma non sarà facile. Il Napoli è forte".
Cosa vorrebbe dire per il Diavolo non partecipare alla prossima Champions?
"Sarebbe un disastro. I rossoneri sono indietro e la loro rincorsa sarà dura, ma devono dare il massimo. Ce la possono ancora fare".

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