Umiliazione
Per l’unica che rimane sempre e comunque, guardando attonita intorno a sé gli interpreti che la lasciano, la maltrattano. Prima la baciano poi la strappano, poi la danno via abbandonandola al suo destino. Perché per quanto si possa discutere sulle decisioni collettive (della società e del giocatore), questa partenza non lascia solamente l’amaro in bocca, ma qualcosa in più. La rabbia, dettata quasi dalla consapevolezza di essere stati presi per i fondelli. In fondo tutti sapevamo che prima o poi sarebbe successo; tutti ci aspettavamo, un giorno o l’altro, di ricevere il voltafaccia senza fronzoli di Zlatan Ibrahimovic, il fiore all’occhiello (su una giacca evidentemente piena di occhielli) della campagna acquisti del Paris Saint Germain. Brucia perché i francesi hanno mancato lo spare al primo colpo, e hanno fatto addirittura strike al secondo, senza trovare resistenza. Del resto, chi avrebbe potuto opporsi alle grazie parigine? Quelle grazie che hanno fatto innamorare il capocannoniere dello scorso campionato. Brucia perché in fondo, quel giorno che lo vedemmo sventolare orgoglioso la maglia rossonera gridando al mondo le proprie ambizioni, ci abbiamo creduto.
Perché in fondo lo abbiamo fatto anche dopo le stupide dichiarazioni d’amore volte a placare quell’orrenda aberrazione eufemistica che sono i mal di pancia di uno che non conosce maglie e cuore, ma solo ingaggi e bonus. Sempre più alti, sempre più su: è l’unica cosa che conta. Ci siamo rimasti male, un bel po’, perché in fondo insieme in questi due anni ci siamo divertiti parecchio. Abbiamo gioito e ci siamo arrabbiati, abbiamo esultato e ci siamo depressi: come succede da sempre. Ma il contrasto tra l’immagine di Ibra che sventola la maglia davanti a un San Siro trepidante di attesa, e quella di Ibra che esce dalla porta principale senza salutare e con la bocca piena di sputo, stride parecchio e fa male. A noi, al Milan, ad una maglia umiliata. Ancora una volta…
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