25 anni fa lo scudetto degli Invincibili
10 maggio 1992. Sono passati 25 anni da quando, con il pareggio per 1-1 nella trasferta di Napoli, il Milan di Fabio Capello conquista matematicamente, a due giornate dalla fine, il suo dodicesimo scudetto.
Normale routine i 90’ contro i partenopei: sul finire del primo tempo vantaggio rossonero firmato da Rijkaard; nella ripresa pareggio del francese Blanc e gloria anche per un vecchio cuore rossonero come Giovanni Galli, allora estremo difensore del Napoli, che para un rigore all’ex compagno e amico Van Basten, capocannoniere di quella strepitosa cavalcata.
Una cavalcata sulla quale, a ben vedere, in pochi avrebbero scommesso a inizio stagione: non suscitava molta fiducia il primo Milan del dopo-Sacchi, prossimo a diventare ct azzurro dopo la separazione da Berlusconi; un Milan appena sbattuto fuori con ignominia dall’Europa dopo la serataccia di Marsiglia, squalificato per un anno dalle competizioni europee e con un organico da molti (alla lunga avventati) critici ritenuto ormai al capolinea, a cominciare dal trio olandese Gullit-Rijkaard-Van Basten, con il centravanti reduce da una stagione deludente tra dissidi col mister di Fusignano e appena undici reti all’attivo; la campagna acquisti non segna grandi novità, se non il ritorno alla base di due giovani promettenti come Albertini e Antonioli, che bene avevano fatto in serie B a Padova e Modena l’anno precedente, e l’acquisto dall’Inter di Aldo Serena, appena due anni prima capocannoniere dello scudetto record nerazzurro ma ritenuto ormai dal club di Via Durini sul viale del tramonto, che nelle intenzioni del Milan avrebbe dovuto costituire un valido supporto per la rinascita di Van Basten, progetto poi abortito sul nascere non solo dal non proficuo innesto dell’attaccante di Montebelluna ma soprattutto dalla vena realizzativa di Massaro e Simone. Arrivano anche il terzino Gambaro, protagonista della strepitosa annata del Parma di Scala, che alla prima apparizione in A ha centrato la qualificazione in Coppa Uefa, e dalla serie C il centravanti Giovanni Cornacchini; torna anche il centrocampista Diego Fuser, dopo un anno in prestito alla Fiorentina. Inoltre, in vista di un futuro allargamento della possibilità di ingaggiare giocatori stranieri oltre ai tre in quel momento consentiti, vengono acquistati anche un giovane centrocampista croato e un centravanti brasiliano di belle speranze, provvisoriamente parcheggiati altrove: Zvonimir Boban, che debutterà in Italia a Bari, e Giovane Elber. Attesi, però, da un diverso destino, almeno in maglia rossonera.
I pronostici, in quell’estate 1991, sembrano pendere più dalla parte della Juventus, anch’essa fuori dall’Europa ma per demeriti sul campo, rappresentati dalla pessima annata sulla panchina bianconera di Gigi Maifredi, giubilato per far posto, a sorpresa, al rientrante Trapattoni, che esaurito il ciclo interista scandito dallo scudetto 1989 e poco altro, tenta la carta amarcord per una piazza che da anni ormai non recitava un ruolo da protagonista nella corsa scudetto; in attacco Baggio e Schillaci, anche loro reduci da una stagione deludente dopo le glorie di Italia ’90, sono ritenuti la miglior arma per lo scudetto.
E in effetti le prime uscite del Milan di Capello non sembrerebbero incoraggiare i tifosi: vittorie di misura contro Ascoli e Cagliari e pareggi in extremis, come quello già al terzo turno sul campo della rivale torinese maturato su autogol di Carrera a tempo scaduto, nelle prime quattro giornate non danno certo l’idea di una squadra pronta al successo; oltretutto la ferrea disciplina impartita dal tecnico friulano non sembra andare molto a genio a qualche giocatore, a cominciare da Gullit.
La musica, però, cambia quando, dopo la sospensione per pioggia alla quinta giornata di Milan-Genoa, i rossoneri si recano in trasferta a Bergamo: il 2-0 rifilato all’Atalanta con il primo gol in serie di Demetrio Albertini, subito inserito alla grande in squadra e individuato da Carlo Ancelotti, alla sua ultima stagione da calciatore, come potenziale erede del centrocampo rossonero (e azzurro), e un rigore di Van Basten, alla sua quarta marcatura stagionale, iniziano ad intravedersi spiragli positivi, che trovano conferma nella successiva vittoria sul Parma firmata da Gullit e Van Basten.
Ma sono la schiacciante vittoria per 4-1 a San Siro contro la Roma sotto lo sguardo di Arrigo Sacchi appena nominato c.t. e il successivo 2-0 firmato da un doppio Gullit sul campo della Sampdoria campione d’Italia in carica a dare l’esatta portata di quello che sta diventando il Milan guidato da Fabio Capello: una squadra per nulla logora che non meno diversamente da quanto accadeva sotto la gestione del mister di Fusignano impone il suo gioco dominando l’avversario di turno.
Il Milan comanda ma la Juve sia pur distaccata di pochi punti non molla: il 1° dicembre si porta a -1 grazie al faticoso pareggio a cui i rossoneri sono obbligati nel derby da un Inter pure non brillante sotto la gestione di Corrado Orrico.
Dopo la pausa natalizia, alla ripresa del campionato, il Milan saluta il 1992 travolgendo il Napoli a San Siro con un 5-0 netto e senza storia, che rimane ancora oggi nella memoria dei tifosi rossoneri come una delle più belle vittorie di sempre; la domenica successiva, con il successo rimediato di misura su autorete sul campo non sempre benevolo di Verona, il Milan si aggiudica il primo round rappresentato dallo scudetto di inverno, con tre punti di vantaggio sui bianconeri.
E il divario, dopo il 3-1 rifilato allo spettacolare Foggia di Zeman con una tripletta di Van Basten all’ultimo turno del girone di andata, si incrementa alla prima giornata di ritorno: la Juve cade a Firenze sotto i colpi di Batistuta mentre il Milan nonostante l’assenza di Van Basten regola nettamente l’Ascoli analino di coda.
Due settimane dopo c’è lo scontro diretto a San Siro, ultima reale possibilità per i ragazzi del Trap di avvicinarsi al Diavolo: segna subito Van Basten, pareggia Casiraghi, Massaro nel finale centra un palo sfortunato, ma nonostante il pari anche i critici più scettici che avevano accolto con diffidenza Capello ricavano l’impressione della netta superiorità rossonera.
La Juve ci crede ancora, e riduce a quattro i punti di distacco nelle due giornate successive grazie al doppio pareggio a reti inviolate che riporta il Milan nelle due trasferte di Firenze e Genova contro i rossoblù di Bagnoli, rivelazione in Coppa Uefa in quelle settimane, quando riesce a espugnare l’Anfield di Liverpool e a qualificarsi per la semifinale della competizione, dove purtroppo dovrà soccombere all’Ajax.
Nelle giornate successive il Milan comunque non rallenta, vincendo in successione tre partite su quattro, e celebrano il centesimo gol di Van Basten in occasione del 2-0 rifilato al Bari. Ma i sogni scudetto bianconeri si spengono definitivamente il 5 aprile, giornata numero 27: il Toro di Mondonico con un doppio Casagrande stende la Juve, mentre a San Siro, sotto una pioggia torrenziale, la Sampdoria di Boskov, reduce dalla vittoria sulla Stella Rossa di Belgrado in Champions League che le ha dato l’accesso alla finale di Wembley, viene travolta da un 5-1 netto e indimenticabile; Rijkaard a coronamento di un primo tempo dominato dai rossoneri sblocca il risultato, che nella ripresa si impreziosisce delle reti di Evani, Massaro, Van Basten, Albertini.
Nonostante i sei punti di vantaggio mister Capello, però, predica prudenza e attenzione, e già nella gara seguente, sul campo della pericolante e quasi retrocessa Cremonese arriva un faticoso pareggio.
I timori di un rilassamento vengono però fugati il sabato di Pasqua grazie alla vittoria nel derby, maturata all’ultimo minuto grazie a Massaro, mentre a Roma la Juve non va oltre il pareggio.
I ragazzi di Capello devono solo attendere un paio di settimane prima di festeggiare la matematica certezza dello scudetto, che arriva al San Paolo.
Ma per rendere davvero speciale questo tricolore c’è ancora un traguardo da raggiungere, quello dell’imbattibilità che viene conseguito con due roboanti vittorie, degne ciliegine di questa torta unica e speciale: prima, nell’ultima partita stagionale a San Siro, è il Verona a venire travolto da un perentorio 4-0, in cui protagonista assoluto, alla sua ultima apparizione da calciatore davanti al popolo rossonero, è Carlo Ancelotti, che segna una doppietta nel giro di un minuto nel finale e appende le scarpe al chiodo prima di intraprendere una carriera da allenatore che lo vedrà nuovamente protagonista anche in rossonero; poi, nell’ultima gara dell’anno, a Foggia, in un suggestivo derby rossonero, dopo l’iniziale vantaggio firmato da Maldini sono prima Baiano e poi Signori, protagonisti della spettacolare annata dei satanelli salentini guidati da Zeman, alla loro ultima apparizione allo “Zaccheria” prima di essere ceduti rispettivamente a Fiorentina e Lazio, illudono i pugliesi di riuscire in una storica impresa; prima che nel secondo tempo si abbatta una tempesta rossonera milanista che vedrà protagonisti, oltre ad un autogol del difensore Matrecano, Fuser, Gullit e, con una doppietta a testa, Simone e Van Basten.
Per il Cigno di Utrecht la conquista del titolo di capocannoniere con 25 gol sarà il coronamento di una stagione strepitosa, che lo vedrà, a dicembre, insignito del Pallone d’Oro.
Ma quello scudetto degli invincibili, come verrà ricordato negli annali, rappresenterà anche l’ultimo trionfo del Milan dei tre olandesi; l’anno seguente, con l’allargamento della possibilità per le squadre italiane di tesserare stranieri, con l’unico limite di poterne schierare solo tre a partita, arriveranno Papin e Savicevic, vecchi pallini del presidente Berlusconi strappati alla Juventus così come il pezzo forte della faraonica campagna acquisti 1992, in vista del ritorno in Champions League: Gigi Lentini, gioiello emergente del Torino, oltre a De Napoli ed Eranio e al rientrante Boban. Il turnover e le imposizioni regolamentari ridurranno gli spazi soprattutto a Gullit, che al termine di un’annata in cui i ragazzi di Capello riusciranno nuovamente a laurearsi campioni d’Italia (nonostante un finale piuttosto sofferto con il k.o. contro il Parma a San Siro che ferma a 58 la serie di risultati utili consecutuvi e il progressivo e minaccioso ritorno dell’Inter di Bagnoli) e, dopo 10 vittorie consecutive, ad essere battuti nella finale di Champions League dall’Olympique Marsiglia, deciderà di abbandonare Milanello e di accasarsi alla Samp, mentre Rijkaard, contrariamente all’amico e connazionale tassello irrinunciabile della formazione-base di Capello, alla vigilia della finale di Monaco annuncerà l’intenzione di lasciare l’Italia e di tornare all’Ajax per concludere con meno stress la sua esaltante carriera. Diverso e crudele invece il destino per Marco Van Basten, che proprio nel momento del suo massimo fulgore rappresentato dallo scoppiettante inizio della stagione 1992-93 che lo vedrà protagonista sia in campionato che in Europa con la splendida quaterna rifilata al Goteborg , si infortuna; tornerà, con un recupero forse incautamente accelerato, in tempo per segnare l’ultimo gol della sua carriera ad Ancona, a quell’Alessandro Nista che era in porta a Pisa il giorno del suo debutto in A cinque anni prima, regalando una vittoria fondamentale in quel momento per scongiurare la rimonta interista; scenderà in campo anche nella sfortunata finale di Monaco, e dopo due anni di interventi e vane speranze sarà costretto alla resa nell’estate del ’95, non senza aver degnamente salutato per un ultimo giro di campo il suo pubblico a San Siro.
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