Dida-Sheva e la coppa made in Italy
28 maggio 2003, una data indimenticabile per tutti i tifosi del Milan, una data entrata nella storia del calcio italiano perché, sul verde prato dell’Old Trafford di Manchester, il teatro dei sogni, andò in scena quello che è stato, forse, il momento più alto per il nostro movimento calcistico a livello di competizioni di club perché, per la prima volta nella storia, una finale della UEFA Champions League era un affare solo ed esclusivamente italiano. Un’intera nazione era spaccata in due davanti alle televisioni e ai maxischermi allestiti in piazza Duomo a Milano e Piazza San Carlo a Torino. Dopo una partita tiratissima, con un gol annullato a Shevchenko che, ancor’oggi, desta dei dubbi sulla sua irregolarità, la sorte decise che quella sfida tutta italiana nella patria degli inventori del football doveva essere decisa nel modo più crudele possibile ossia attraverso la lotteria dei calci di rigore. Dida, che nell’arco della stagione aveva lavato via la papera di tre anni prima a Leeds, diventa l’eroe neutralizzando i rigori di Trezeguet, Zalayeta e Montero.
Shevchenko, ultimo rigorista rossonero, si rende poi protagonista di uno dei momenti più belli di quella serata. Le telecamere lo fissano, lui è pronto ma non sente il fischio dell’arbitro Merk. Sheva lo guarda e il fischietto tedesco fa un cenno con la testa. Il fiato in gola viene trattenuto fino a quando il pallone, alle 23:30 circa, non si insacca alla sinistra di Buffon consegna nelle mani di Paolo Maldini la sesta Champions League della storia milanista, 40 anni dopo il padre Cesare che l’aveva alzata nel cielo di Wembley battendo il Benfica di Eusebio.
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