Walker a GQ: "Il Milan è una sfida, avevo bisogno di nuovi stimoli. Ho chiesto a Beckham se potevo prendere il 'suo' 32"

Walker a GQ: "Il Milan è una sfida, avevo bisogno di nuovi stimoli. Ho chiesto a Beckham se potevo prendere il 'suo' 32"MilanNews.it
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Ieri alle 16:00Primo Piano
di Enrico Ferrazzi

Kyle Walker, uno dei cinque colpi di mercato del Milan a gennaio, ha rilasciato un'interessante intervista a GQ Italia nella quale ha parlato non solo di calcio, ma anche di questioni extra-campo. Ecco le sue parole: 

Sul Fourth Kit del Milan: "Indossare una maglia così è un qualcosa di importante. Vuol dire che stiamo lanciando un segnale chiaro, che vogliamo più unità e più inclusione. Nell’epoca in cui viviamo, un’epoca in cui ogni giorno si verificano episodi di razzismo sui social network e non solo, è fondamentale che delle società importanti come il Milan si impegnino in tante iniziative di questo tipo. Perché non è mai abbastanza: questa nuova collezione sta uscendo nel Black History Month (il mese che celebra l'importanza delle persone e degli eventi lungo la diaspora africana, ndr), ma io sono convinto che sarebbe giusto raccontare certe vicende sempre, il più possibile. Per tutto l’anno, non solamente per trenta giorni". 

Sulla sua carriera: "Devo ringraziare i miei genitori, in qualche modo la genetica mi ha aiutato ad avere e a poter sviluppare una certa prestanza fisica, alla mia età continuo a giocare ad alti livelli e non è affatto una cosa scontata. Ricordo che da piccolo mi affacciavo alla finestra di casa e in lontananza potevo vedere lo stadio dello Sheffield United. Per me era un sogno giocare lì e ho fatto il possibile perché si realizzasse, a sette anni sono passato dal giocare in strada all’Academy della squadra per cui facevo il tifo, senza step intermedi. Poi con il lavoro sono riuscito a raggiungere l’obiettivo di arrivare in prima squadra. Da lì è iniziata una carriera che mi ha portato a raggiungerne molti altri, ma sempre con lo stesso modo di fare: guardando al prossimo passo, una partita per volta". 

Sul Manchester City: "Essere coesi è fondamentale, se vuoi ottenere risultati nel calcio di oggi. I giocatori passano più tempo con i compagni che con la loro famiglia, quindi c’è bisogno che vivano in un ambiente in cui si respira un senso di comunione, di collettività. Nessuno può andare in campo e vincere le partite da solo, forse Messi e Ronaldo ci sono riusciti in qualche momento di pura magia, ma se vuoi farlo con una certa continuità serve il contributo di tutti quelli che lavorano nel club. A Manchester ho stretto amicizie per la vita, non solo con i miei ex compagni: i cuochi, gli addetti alle pulizie, i magazzinieri, i fisioterapisti, per me erano tutte persone che facevano parte dello stesso gruppo". 

Sul Milan: "Sono stato accolto benissimo sotto tutti i punti di vista, e da parte mia credo che il Milan si stia muovendo nella direzione giusta. Poi c’è l’atmosfera di San Siro, che è davvero fantastica. L’ho sentita addosso soprattutto nel derby, purtroppo l’Inter ha pareggiato negli ultimi minuti ma per me è stato molto emozionante giocare subito una partita così importante". 

Sulla scelta di andare al Milan: "Per me il Milan è una nuova sfida. Avevo bisogno di una scintilla, di riaccendere l'amore che ho per il calcio. Attenzione, non sto dicendo che avevo perso l’amore per il gioco. Ma dentro di me, ecco, sentivo il bisogno di costruirmi una nuova vita, di avere nuovi stimoli, nuovi avversari contro cui giocare. Poi è bello mettersi alla prova in un contesto completamente diverso. In Italia, com'è giusto che sia, il gioco si vive in maniera differente rispetto a quanto avviene in Inghilterra, ma anche in Spagna, in Francia, in Germania. Qui c’è grande attenzione ai difensori e alla fase difensiva, i tifosi apprezzano i calciatori creativi ma anche quelli che riescono a fermare gli avversari. Una semplice vittoria per 1-0 può andar bene, per loro si può cominciare a costruire da lì. E in fondo hanno ragione, i tre punti in classifica sono la cosa di cui un giocatore e una squadra hanno più bisogno in assoluto". 

Su Milano: "Ovviamente sono qui per giocare a calcio, ma so che a Milano c’è anche molto altro. Tra poco ci sarà la settimana della moda e per me sarebbe un’esperienza fantastica poter assistere a quello che avviene in città".

Sul numero 32: "Beckham mi ha mandato un messaggio quando sono arrivato al Milan, io gli ho risposto chiedendogli se non gli dispiaceva che io prendessi il numero di maglia (il 32, ndr) che ha indossato al Milan. Lui mi ha risposto: 'Ma certo, per me è un onore, portalo con orgoglio'. Per me è stato importante, parliamo di un uomo che ha cambiato il calcio, che l’ha reso ciò che è oggi". 

Sulla sua passione per la moda: "Mi piace vestirmi bene, se dovessi definire il mio stile, direi che è ricercato ma discreto: cerco di non indossare troppo quella che chiameremmo 'roba di marca', ma allo stesso tempo sono sempre alla ricerca della qualità. Portare abiti che mi rappresentano è una cosa che mi permette di stare bene con me stesso, e penso che i miei compagni apprezzino questo aspetto di me. Il calciatore più stiloso? Mi piace molto l’approccio alla moda di Dele Alli, che qualche settimana fa si è trasferito pure lui in Italia, al Como, e anche quello di Rúben Dias: quando è arrivato a Manchester non era così attento a certe cose, poi ha iniziato a interessarsi e ha cambiato il suo modo di vestire. Si può dire che sia migliorato. Guardiola? Anche lui è uno molto attento a certi aspetti. Certo, quando eravamo ad allenarci nel centro sportivo tendeva a rimanere in tuta. Ma poi quando va in panchina indossa dei capi molto alla moda, che in qualche modo lo caratterizzano". 

Sul gesto con l'acqua nel pre-partita come il wrestler Triple H: "Quando ero ragazzino eravamo tutti pazzi del wrestling. Era un appuntamento imperdibile e io mi sono innamorato di questo lottatore che vinceva contro chiunque. Avevo 15-16 anni e ho iniziato a imitarlo prima di ogni partita, ancora oggi continuo a farlo. Ma adesso si tratta di una sorta di rituale: ero tra i giocatori in campo quando Fabrice Muamba (ex centrocampista anglo-congolese colpito da un attacco cardiaco durante una gara di FA Cup tra il suo Bolton e il Tottenham, nel 2012, ndr) si è sentito male e ha rischiato di morire, questa cosa mi ha colpito molto e da allora compio il mio gesto con l’acqua insieme a una piccola preghiera, affinché tutti stiano bene e non succeda più niente di simile".