Ecco chi è Khaldoon Al Mubarak, l'uomo che ha dato del "non serio" a Galliani
Guai a sfidare uno sceicco soprattutto se il suo patrimonio vale da solo quello di uno stato e può permettersi di tenere fermo un giocatore da 30 milioni di euro anche solo per una questione di principio. Chi è Khaldoon Al Mubarak, l’uomo che ha dato del ‘dilettante’ a Galliani, gelato le speranze del Milan e descritto le mosse dei rossoneri come premature ed eccessivamente improntate a fiducia e confidenza? E’ il braccio destro dello sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, dal settembre del 2008 occupa la poltrona di presidente del Manchester City e uno stand all’Etihad Stadium.
Laureato in Economia e Finanza a Boston rappresenta l’emblema della nuova generazione di sceicchi che si muove a suo piacimento nei palazzi della City, sposta capitali da una parte all’altra del mondo per far fruttare le immense ricchezze del petrolio e ha deciso di utilizzare lo sport - e il calcio in particolare - come biglietto da visita per i salotti che contano.
Il suo profilo è simile a quello di Mansour, 41 anni, laurea in relazioni internazionali e una stretta parentela con la famiglia reale di Abu Dhabi che ha un patrimonio stimato in oltre 50 miliardi di euro e interessi ormai ovunque: partecipazioni in Unicredit e Barclays, il secondo istituto di credito della Gran Bretagna e una fitta rete di rapporti che conduce addirittura alla Casa Bianca. Gente poco abituata a sentirsi rispondere ‘no’ e che è entrata nel calcio europeo con la forza devastante di un ciclone.
Il Manchester City rilevato in tribunale nel 2008 per 210 milioni di sterline salvandolo da un fallimento pressoché sicuro è stata sola la prima mossa. Mansour ci ha investito oltre 900 milioni di euro in tre anni spendendone altrettanti nello stadio e nelle infrastrutture che lo circondano. Un anno e mezzo fa ha deciso di regalarsi una squadra satellite pescando in Spagna e appoggiandosi a Butti Bin Suhail Al-Maktoum e al Royal Emirates Group. Risultato? Solo ad agosto il Getafe, ex cenerentola della Liga, ha speso 58 milioni di euro con la prospettiva di non fermarsi.
Da Dzeko (strappato alla Juventus e allo stesso Milan) a Balotelli, da Aguero a Nasri: la lista della spesa di Mansour per rendere grande il City ha choccato il calcio europeo tanto che l’Uefa, prima con la moral suasion e poi con la minaccia di un’inchiesta sul rapporto tra club e sponsor (sempre la compagnia aerea Etihad del cugino dello sceicco), sta provando a mettere un argine al potere di un portafoglio quasi sterminato che si alimenta dei proventi della vendita del petrolio in un’area che da sola dispone del 9% delle riserve mondiali.
Mossa sin qui inutile. Gli Emirati hanno scelto lo sport e non badano a spese. Abu Dhabi è diventata sede del primo parco tematico della Ferrari e ospita ormai in pianta stabile un Gp di Formula Uno. La sfida di Mansour e del suo braccio destro Al Mubarak, la sesta potenza economica nel mondo dello sport secondo una classifica del ‘Times’ pubblicata nel 2010, è spostare gli equilibri del grande football in una sfida a distanza con il Qatar che li vede fin qui soccombenti dopo la decisione della Fifa di assegnare ai qatarioti il Mondiale del 2022. Uno sgarbo da restituire con gli interessi. Un po’ come quella foto di Galliani al tavolo di Rio insieme a Tevez e a Kia Joorabchian.
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