I quattro punti da cui ripartire per tornare ad essere un Milan che rende orgogliosi i propri tifosi

È un pezzo che scriviamo oggi, quando ancora non si è giocata la finale di Coppa Italia contro il Bologna, universalmente riconosciuta come la partita più importante della stagione a questo punto, e non c'è stata ancora la scelta su chi ricoprirà il ruolo di Direttore Sportivo per la prossima stagione; scevri da ogni tipo di condizionamento dato da queste due situazioni, che possono sicuramente cambiare il modo di vedere l'insieme, siamo arrivati al momento in cui è più che onesto ripercorrere quello che non è andato ed ha portato a questa situazione decisamente negativa: Milan nono in campionato, Champions League buttata alle ortiche, partecipazione incerta alle prossime competizioni europee, rosa svalutata in alcuni suoi elementi chiave e ambiente in protesta con proprietà e dirigenza.
LINEA DI COMANDO – Ruoli e compiti definiti con uno snellimento del processo decisionale: soprattutto se dovesse esserci l’entrata di un Direttore Sportivo sarà importante che ognuno sappia benissimo come muoversi e fin dove muoversi. Oltre all’efficacia in sé data da un sistema snello e chiaro si guadagnerebbe anche “serenità” all’esterno; se circolano determinate voci e dubbi da anni evidentemente qualche motivo ci sarà.
UNA SQUADRA COSTRUITA CON CRITERIO – Ad inizio stagione Paulo Fonseca si è presentato alla stampa parlando della sua idea di calcio dominante: tanto possesso palla e capacità di scegliere il momento giusto per i vari gesti tecnici. I dubbi c’erano fin dall’inizio, ma non per la bontà delle idee del portoghese (o almeno, non solo per quello): da anni il Milan è una squadra da transizione veloce, che vive di strappi e conduzioni palla fulminee. E infatti le idee dell’ex Lille non hanno attecchito. Così come a gennaio Conceiçao ha chiesto di rivoluzionare la rosa per poter cercare di fare un qualcosa che rientri nei suoi canoni: siamo arrivati a fine aprile e sembra che tra 4-4-2 e 3-4-2-1 si sia trovato un punto di partenza soddisfacente. Ecco, a prescindere da chi sia l’allenatore dell’anno prossimo è sicuramente importante che la squadra venga costruita di comune accordo col tecnico invece che su un’idea di calcio che chi va in panchina non sposa in toto.
ANCHE CHI VA IN CAMPO HA RESPONSABILITÀ – Ambiente, società, dirigenti, allenatori e tutto il contorno. Ma nel calcio il tutto viene deciso da chi va in campo. Non è più il Milan di quattro ragazzini sbarbati da far crescere, ora ci sono 25-26-27enni con famiglia a carico che devono prendersi le dovute responsabilità. A cominciare da comportamenti ed atteggiamenti: l’ammutinamento del cooling break è un qualcosa che non si dovrà vedere più neanche lontanamente. Anche perché dopo Pioli ci sono stati Fonseca e Conceiçao, ed entrambi hanno dato chiari segnali su cosa non va: gli alibi sono finiti da un pezzo.
IL TIFOSO VA RISPETTATO – È giusto voler monetizzare dalla proprietà intellettuale, concetto tanto caro a Gerry Cardinale, ma i tifosi non sono vacche da mungere. I dati parlano di 70 e rotti mila tifosi per ogni match casalingo, ma basta fare il confronto anche solo con la passata stagione per capire che la transizione verso un pubblico più casual, sicuramente più propenso a spendere ma meno a tifare, non porta benefici. Con il Milan nono in classifica lo stadio si riempie comunque, ma tirare troppo la corda sarebbe da masochisti.

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