Pulisic a The Athletic: "Al Milan sto bene, mi sento sicuro. Avverto la fiducia del club in molti modi"
Christian Pulisic, in concomitanza con l'uscita del primo episodio del documentario sulla sua vita prodotta da CBS Sports e trasmessa su Paramount+, ha rilasciato una lunga intervista a The Athletic. Queste le dichiarazioni del numero 11 del Milan.
Sul primo episodio della serie:
"Quando ho guardato quella parte del primo episodio mi sono detto: "Cavolo, sono davvero goffo: tutti mi vedranno come un ragazzo noioso che non vuole mostrare la sua vita. Spero che la gente capisca che c'è dell'altro in me”.
In tanti sembrano sorpresi, quasi perplessi, che Pulisic abbia accettato di partecipare ad un progetto del genere. Clint Dempsey, ex compagno di squadra, afferma: “Non parla molto, non è molto estroverso. Che tipo di contenuti potrai mai ricavarci?”.
Olivier Giroud, ex compagno di squadra al Milan, afferma che Pulisic è uno “tranquillo”, aggiungendo che ci sono “tante cose che tiene dentro di sé e che non vuole mostrare”.
Il suo attuale compagno di squadra della nazionale USA Weston McKennie è “sorpreso” e dice che il viaggio di Pulisic “vale la pena di essere documentato, ma lui non fa entrare le persone così tanto dentro la sua vita”.
Ibrahimovic invece dice che l'unica cosa “un po‘ negativa” di Pulisic è che è “un po’ silenzioso”. “È noto per essere Capitan America, ma non gli piace esserlo. Non si vede forse come un supereroe. Gioca con un profilo basso e con i piedi per terra. Ma tu sei Capitan America, non me ne frega niente di quello che dici, lo sei. Se questo ti mette più pressione, non mi interessa. È colpa sua: se non fosse così bravo, non gli chiederemmo nulla”.
Nell'intervista concessa a The Athletic, come nel documentario, Pulisic non è ancora un libro completamente aperto. Ma è sincero sulle sfide psicologiche della vita da calciatore di alto livello, sul rapporto con i genitori e sulla percezione di un pregiudizio nei confronti dei calciatori statunitensi in Europa.
E allora perché Pulisic, riluttante ad aprirsi, ha deciso di fare un documentario?
“Uno dei miei obiettivi più grandi è quello di ispirare la prossima generazione di calciatori e il mio Paese e di far emozionare la gente. La Coppa del Mondo sta per arrivare negli Stati Uniti e il movimento calcistico è grande come non lo è mai stato. Mi sembra il momento giusto. Alcuni di noi sono più introversi, altri più estroversi. Spero che alcune persone possano vedere questo documentario e pensare: 'Mi riconosco in lui'. Spero che vedano come sono come persona e si rendano conto che forse non tutte le star del calcio vogliono essere così affascinanti e sempre sotto i riflettori. Spero che vedano che io sono un po' l'opposto e che vedano alcune delle lotte che affronto quotidianamente come americano che combatte in Europa per cercare di essere uno dei migliori giocatori del mondo”.
Sulle difficoltà dei giocatori statunnitensi in Europa nel ricevere il giusto riconoscimento:
“Mi spinge a lavorare ancora più duramente e ad essere migliore, non dando loro la possibilità di prendere una decisione e dicendo: ‘Questo è il ragazzo che vogliamo far giocare’. Questo mi ha sempre spinto a dare il massimo. Penso che ora la situazione sia migliorata. Spero di aver avuto voce in capitolo e che altre persone si guardino intorno e dicano: 'Questo ragazzo è americano e sta giocando ai massimi livelli: allora sono da rispettare'. Guardate quanti americani sono venuti in Europa negli ultimi 5-10 anni. Abbiamo giocatori in Champions League e in alcuni dei campionati più importanti del mondo. M non è il nostro principale stimolo voler dimostrare che si sbagliano".
A novembre, dopo una rete segnata con gli USA contro la Giamaica, Pulisic ha esultato con la cosiddetta "Trump Dance", che ha fatto il giro del mondo tra giornali e polemiche:
“Onestamente non mi sento diverso ora da quando l'ho fatto. Per me si trattava solo di un balletto virale, che ho fatto più volte nella mia carriera. Non è stata una dichiarazione in alcun modo. Era solo una cosa divertente che stavo facendo. Chiunque si interessi a questa cosa dovrebbe evitare perché non c'è niente di cui parlare”
Sei rimasto sorpreso dalla reazione?
“Per come è il clima politico, soprattutto negli Stati Uniti, forse no. Sarò onesto, prima non ci avevo pensato nemmeno io. Ma visto il modo in cui la gente reagisce alle cose, ora che ci penso credo che non mi sorprenda più di tanto".
La federazione statunitense ti ha detto qualcosa a proposito?
“Onestamente, no. Non c'è stata alcuna reazione da parte loro. Penso che mi conoscano come persona”.
Sul papà Mark:
“A volte mi dà sui nervi, è assolutamente fuori di testa. Sa come smuovermi, come motivarmi, come farmi arrabbiare. Però se dico così sono un po' severo con mio padre. Ha fatto un buon lavoro nel mettere un limite. Non mi ha mai fatto odiare il calcio o desiderare di smettere e di abbandonare. Non è mai stato un genitore così esagerato da farmi perdere il controllo. Non è mai stato così. Ma sicuramente mi ha spronato. Mi ha spronato. Sapeva come ottenere il meglio da me, sempre. È stato il mio allenatore durante la crescita. Mi trattava come gli altri suoi giocatori, probabilmente anche un po' più duramente. A questo livello, ora, non cerca di farlo costantemente. Ma mi conosce meglio di chiunque altro. Quindi cercava sempre di spingermi a giocare con coraggio, senza paura”.
Quanto è fondamentale la fiducia per farti rendere al massimo?
"Può dipendere molto dall'ambiente, dalla forma, dalla fiducia degli allenatori, del club, da come ci si sente. Non voglio dire che sia più facile ora che al Chelsea, ma c'è stato un periodo in Inghilterra in cui mi sentivo veramente al top e giocavo alla grande. Quella fiducia e quella mentalità del giocare senza paura erano facili da avere. Ma c'è stato anche un periodo in cui è stato estremamente difficile, perché non giocavo. Sentivo la pressione di dover fare di più quando scendevo in campo, in qualche modo. Ora, invece, mi trovo in una posizione mentale molto buona, in cui mi sento abbastanza sicuro. Sento la fiducia del club in molti modi”.
È giusto dire che il Chelsea è stata la prima vera battuta d'arresto della tua carriera?
“Sicuramente è stato difficile. Al Chelsea mi sono abituato al mio ambiente. Ho imparato tanto, ho vinto molto e sono stato molto contento di come sono andate le cose sotto certi aspetti. Ma quando arriva il momento di cambiare, lo senti con tutto te stesso. Se volevo raggiungere il livello successivo era un passo che dovevo fare”.
Come gestisci i momenti in cui il calcio diventa più impegnativo?
“Invecchiando (sorride, ndr) E capendo che i migliori al mondo hanno le idee così chiare che, ad esempio, se sbagliano un'occasione, non sembra la fine del mondo. Sanno che ne avranno un'altra, perché sono così bravi e si mettono in posizione. Si tratta di avere le idee chiare e di capire che ci saranno momenti migliori”.
E magari capire anche che nessuno può aspettarsi che le cose vadano sempre alla perfezione?
“Anche se la mente fa cose assurde. Hai un po' di successo e pensi: 'Cavolo, deve essere sempre così'. Poi, quando qualcosa non va come vorresti, è strano come la tua mente ti riporti lì. Non è facile, tutti noi ci lavoriamo ogni giorno. Anche i migliori al mondo, che sembrano segnare ogni settimana, hanno delle difficoltà mentali e delle battaglie da affrontare. Può sembrare che non sia così. Ci sono molte cose da fare. Questa carriera, questa professione, sono estremamente fortunato a poterla fare, ma è molto impegnativa per la mente. Poi il fisico è molto stressato, ci sono partite in continuazione. È un lavoro duro”.
Pulisic è riluttante a dire che questa è la sua migliore stagione a livello individuale, forse perché la squadra ha faticato e si trova al settimo posto in Serie A, a nove punti dai posti in Champions League.
“In ogni area sto migliorando un po', che sia la rifinitura, il cross, la fase difensiva, la crescita tattica e la comprensione del gioco. Sento che sto migliorando e che sto diventando molto più forte mentalmente, sapendo che quando ci sono momenti difficili, riesco a non farmi condizionare più di tanto, rendendo i momenti di minore fiducia un po' più brevi. Quindi si tratta anche di coerenza e di prendersi cura di se stessi”.
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