Un principe in rossonero
Al di là dei risultati, il personaggio della puntata di Terza Pagina di questa settimana rappresenta, per chi scrive, uno dei più grandi rimpianti da tifoso del Milan. Desiderato per tutti gli anni in cui rappresentava uno dei migliori centrocampisti del mondo, acquistato quando era all’apice della sua carriera, per un beffardo scherzo del destino abbiamo dovuto accontentarci di vederlo giocare con la nostra maglia solo in poche circostanze, troppo e maledettamente poche!
Fernando Carlos Redondo Neri è stato un fuoriclasse vero, un autentico campione, un concentrato di tecnica, classe, intelligenza tattica, eleganza e grande visione di gioco. Le movenze non erano quelle di un giocatore veloce, ma Redondo faceva viaggiare rapidamente la mente ed il pallone, e questo era sufficiente per farne un “volante” perfetto, colui che detta i tempi alla squadra. Proprietà di palleggio, capacità di smarcarsi, di recuperare la palla e far ripartire velocemente l’azione della squadra, il tutto sempre col petto in fuori e la testa alta. Proprio questa eleganza gli valse il soprannome che lo accompagnò per tutta la carriera, il “Principe”, appellativo che si meritò anche per un comportamento irreprensibile fuori dal campo. E fu proprio per la professionalità dimostrata nel momento più difficile della sua carriera che i tifosi milanisti si innamorarono perdutamente di lui, quando “pur di vestire per almeno una volta la maglia del Milan” decise di togliersi per intero lo stipendio che il Milan gli garantiva (5 miliardi netti delle vecchie lire all’anno) fino a quando non sarebbe guarito e tornato in campo. Lui era arrivato al Milan nell’estate del 2000, fresco di conquista dell’ennesima Coppa dei Campioni da parte del Real Madrid e, soprattutto, con sul petto la medaglia di Miglior Giocatore di quella edizione di Coppa (1999/2000). Tutte le sigle delle trasmissioni televisive dedicate al calcio contenevano le immagini di una azione che è rimasta memorabile e di cui Redondo fu protagonista (Manchester Utd-Real Madrid 2-3), gara di ritorno dei quarti di finale di quella Champions League): una corsa lungo la fascia sinistra dell’Old Trafford, un dribbling di tacco con cui si libera incredibilmente di due avversari, l’assist per il compagno Raul che mette la palla in rete. Un vero capolavoro!!!
Redondo è nel momento migliore della sua carriera, e dopo un’estenuante trattativa dice di sì al Milan: ci vogliono 35 miliardi per strapparlo al Real. A posteriori, visto quello che successe subito dopo, rimane il dubbio sull’integrità fisica di Fernando al momento del trasferimento. Forse fu solo sfortuna, o forse le merengues lo cedettero perché sapevano qualcosa: non lo sapremo mai!
Dopo l’addio di Frank Rijkaard è veramente l’uomo giusto per prendersi sulle spalle il centrocampo rossonero. Gli occhi di Braida gli si sono posati addosso già quando arriva in Europa nelle file del Tenerife. Siamo nel 1990, e Fernando Redondo ha rinunciato ad andare ai Mondiali italiani del ’90 perché deve andare all’università (studia economia e commercio). Dopo 5 stagioni nell’Argentinos Jrs, comincia la sua avventura nella Liga spagnola, prima al caldo di Tenerife (4 stagioni) e poi nel Real Madrid. E’ nel grande Real della seconda metà degli anni ’90 che arriva la sua consacrazione. In sei stagioni da grande protagonista conquista 2 volte la Liga, 2 volte la Champions League (1998 e 2000) ed 1 volta la Coppa Intercontinentale (1998), ma soprattutto diventa un calciatore ammirato da tutti gli addetti ai lavori. Oltre a questo mette in mostra anche una personalità spiccatissima: per 5 anni non viene convocato dal CT argentino Passarella perché rifiuta di tagliarsi i capelli. Questa fermezza gli costerà la convocazione anche alla fase finale dei Mondiali del ’98 in Francia, proprio nella stagione in cui è il padrone assoluto del decoratissimo Real. Nonostante l’esilio forzato del quinquennio, con la Selecion metterà insieme 48 presenze (e 3 gol) e farà in tempo a vincere una Coppa America ed una Confederation Cup.
Nel 2000, col petto pieno di medaglie, arriva finalmente al Milan. Ma l’entusiasmo dura poco. Dopo pochi giorni di preparazione estiva, il ginocchio del Principe salta. Comincia un calvario di due stagioni e ben tre operazioni: una nell’ottobre del 2000, una nel giugno del 2001 ed una nel gennaio del 2002 (ricostruzione del crociato anteriore, asportazione e pulizia del tendine rotuleo). Sembra un giocatore ormai perso, ma la sua forza di volontà è enorme. Vuole a tutti i costi giocare con la maglia del Milan, perché (dice lui) “è una cosa che sogno da sempre”. Passa molto del suo tempo in Belgio a curarsi dal professor Martens, e finalmente nell’ottobre del 2002 corona il suo sogno. In occasione della partita amichevole organizzata per l’addio di Boban, a Zagabria, debutta in rossonero e resta in campo per 40 minuti. E’ una grande emozione per tutti. Ormai è pronto, e nel mese di dicembre avviene il debutto ufficiale: il 3 dicembre in coppa Italia contro l’Ancona, e 4 giorni dopo (il 7 dicembre) in campionato contro la Roma. In quella fredda serata il Milan vince 1-0 con gol di Inzaghi, ma la cosa più bella è la standing ovation di San Siro all’ingresso in campo di Fernando nella ripresa. Finalmente Redondo è un giocatore a disposizione dell’allenatore Ancelotti, ma le occasioni in cui viene impiegato non sono molte. La lunga inattività e, soprattutto, l’esplosione in cabina di regia del giovane Pirlo lo costringeranno spesso in panchina. Nelle due stagioni di vera attività, Redondo collezionerà in totale 33 presenze: 16 in campionato, 11 in coppa Italia e 6 in Champions League. Saranno sufficienti, tuttavia, a contribuire ad alcune delle vittorie più belle del ciclo ancelottiano: uno scudetto, una Champions League, una Supercoppa Europea ed una Coppa Italia il palmares rossonero del Principe. Purtroppo abbiamo avuto poche occasioni per ammirare da vicino le grandi qualità tecniche di Redondo, e della sua esperienza milanista resta un grande rimpianto per quello che poteva essere ma non è stato. Ma resta anche il grande orgoglio di averlo visto giocare con la nostra maglia, la grande ammirazione per una professionalità che ha pochi eguali nel mondo del calcio-business e che ha trafitto i nostri cuori e la grande lezione di vita di chi non si arrende di fronte alla sorte che sembra averti voltato le spalle per sempre.
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