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Taveggia (ex dir. organizzativo Milan): "La verità sulla nebbia di Belgrado e sulle luci di Marsiglia"

ESCLUSIVA MN - Taveggia (ex dir. organizzativo Milan): "La verità sulla nebbia di Belgrado e sulle luci di Marsiglia"
martedì 14 aprile 2020, 17:00ESCLUSIVE MN
di Thomas Rolfi

La redazione di MilanNews.it ha intervistato Paolo Taveggia, ex direttore organizzativo del Milan dal 1986 al 1993, che fece una breve apparizione tornando nel club come responsabile del settore giovanile nella stagione 2006/2007. Con il dirigente, che visse in prima persona numerosi successi dei rossoneri guidati da Sacchi in panchina, abbiamo parlato dei momenti più belli vissuti al Diavolo, come ad esempio il 5-0 rifilato al Real Madrid in semifinale di Coppa dei Campioni nel 1988/1989 o come la sera della famosa nebbia di Belgrado che 'salvò' il Milan dall'eliminazione nell'edizione della Coppa dei Campioni dello stesso anno, ma anche serate letteralmente buie come quella del Velodrome di Marsiglia nel 1991. Infine, abbiamo chiesto a Taveggia un commento anche sulla situazione che sta vivendo il Milan attuale.

Quali sono gli aneddoti che ricorda con maggior piacere della sua avventura in rossonero?
"Al di là delle vittorie in finale di Coppa dei Campioni che sono indimenticabili, la cosa che mi ha fatto più godere è aver battuto il Real Madrid 5-0 a Milano. Ho due aneddoti di quella sfida. Il giorno prima della partita, il nostro portiere Giovanni Galli si avvicinò e mi disse: 'Nella partita di andata a Madrid, ogni volta che facevo quattro passi per rinviare la palla, Sanchez si metteva davanti e mi sputava in faccia'. Quando prima della partita mi ritrovai a scambiare due chiacchiere con l'arbitro Ponnet, gli dissi che mi ero accorto degli episodi di cui mi aveva parlato Galli e di fare attenzione a Sanchez. Non credo sia un caso che lo spagnolo venne ammonito al primo fallo commesso dopo 3 minuti. Il secondo aneddoto avvenne alla fine della partita: Schuster, con il Real Madrid isterico per l'umiliazione senza precedenti subita in campo, si avvicinò e mi disse: 'avete pagato l'arbitro' e io gli risposi: 'Se l'avessimo fatto non avremmo vinto 5-0. Non siamo come i tuoi dirigenti, che gli arbitri li hanno pagati tante volte'. Ho preso e me ne sono andato via".

Un altro momento storico in quella stagione fu la vittoria ai rigori a Belgrado negli ottavi di finale di Coppa dei Campioni, dopo che la nebbia scesa sul Marakana aveva costretto a rinviare la partita al giorno successivo. Ce la racconti.
"E' un piccolo film. A San Siro avevamo pareggiato 1-1 e al ritorno dovevamo andare a giocare a Belgrado contro questi che erano dei fenomeni. Per giunta in uno stadio come il Marakana, dove prendevano posto anche gli ultras della Stella Rossa, all'epoca guidati da un certo Arkan (militare serbo a capo delle celebri 'Tigri di Arkan', che si resero protagonisti di numerosi crimini di guerra nella ex Jugoslavia, ndr). Partimmo da Milano portandoci dietro anche Gullit, ma l'olandese non era in grado di giocare, perchè alle prese con una simil pubalgia. La sera della nebbia credo che se noi avessimo giocato con le mani e loro con i piedi non avremmo vinto comunque, perchè era una di quelle sere in cui non funzionava nulla. Andammo negli spogliatoi sullo 0-0 all'intervallo e, nonostante la nebbia che stava scendendo sul campo, fino a quel momento la partita fu regolare. Il tempo di uscire dagli spogliatoi e non si vide più niente a 2 metri di distanza. Anche dalla panchina non si vedeva la partita. Dal boato dopo 5 minuti dall'inizio della ripresa, tuttavia, capimmo che la Stella Rossa era passata in vantaggio, con Savicevic. Ramaccioni (ex team manager del Milan, ndr) mi disse di far notare la non regolarità della situazione alla terna arbitrale, dato che sembrava che non si fossero accorti. Mi alzai e chiesi se riuscisse a vedere qualcosa al guardalinee, che di tutta risposta mi pregò di sedermi. Dato che, però, non mi vedeva nessuno grazie alla nebbia fittissima continuai a camminare seguendo l'assistente come un'ombra, rompendogli le scatole fino a quando, ad un certo punto, sentimmo tre fischi da parte di Pauly, l'arbitro della partita. Gara sospesa. Uscimmo dal campo con il fischietto che mi spiegava che si dovesse attendere 45 minuti in attesa di vedere se la nebbia si diradasse dal campo. Io inizialmente restai fuori dagli spogliatoi e cominciai a fumare come un pazzo per la tensione. Io facevo il tifo per la nebbia, probabilmente stavo fumando una sigaretta dietro l'altra anche per cercare di farla aumentare (ride, ndr). Rientrai negli spogliatoi per andare a bere qualcosa di caldo e vidi 4-5 nostri giocatori già sotto la doccia, con le maglie buttate per terra. I giocatori non avevano capito che la partita fosse sospesa e non rimandata. Fui costretto ad inventarmi una tipica scena all'italiana: bussai alla casetta che conteneva lo spogliatoio dell'arbitro e, cercando di parlare l'inglese più stentorio che potessi usare, gli chiesi nuovamente se la partita fosse sospesa o rinviata, ricevendo la stessa risposta di poco prima. A quel punto feci una sceneggiata disperato alla Alberto Sordi, dicendo a Pauly come la mia carriera fosse ormai rovinata, perchè i giocatori del Milan erano già sotto la doccia a causa del malinteso. Pauly aprì la finestrella della sua casetta, guardò fuori e mi disse: 'Si gioca domani alle 15'. Non ho mai detto a nessuno cosa fosse successo, ho raccontato questa scena a Ramaccioni solo 20 anni dopo. Andai negli spogliatoi e comunicai alla squadra l'orario del rinvio della gara. Tornammo in albergo e scattò il problema su come sistemare qualche centinaio di tifosi che non avevano i soldi per poter restare un'altra notte. Pagai io il pernottamente come Milan. Quindi ci fu una discussione lunga come la fame con il delegato UEFA, che mi comunicò che Ancelotti e Virdis non avrebbero potuto giocare l'indomani, perchè il primo era diffidato ed era stato ammonito e l'altro era stato espulso. A quel punto il problema era che avrebbe dovuto rendersi disponibile per giocare Gullit, che però pretese - più per una questione psicologica che altro - di avere a disposizione il proprio fisioterapista, Ted Troost. Così un aereo privato del gruppo Fininvest partì in tarda serata da Milano, per fare tappa ad Amsterdam a prendere Troost e portarlo a Belgrado. Gullit si allenò poi correndo nel corridoio dell'albergo ed entrò in campo al posto di Donadoni, che rischiò di morire durante la partita dopo uno scontro di gioco, con il dottor Monti che gli salvò la vita mentre Donadoni si stava soffocando con la propria lingua. Tornando alla sera prima della partita, verso la una di notte, visto che non riuscivo a prendere sonno, uscii con Guido Susini (ex capo ufficio stampa del Milan, ndr), dopo essermi fatto dire dal receptionist dell'albergo quale fosse il locale notturno più bello di Belgrado. Prendemmo il taxi e arrivammo in questo locale, in cui ero convinto che sarebbe arrivato di lì a poco l'arbitro. Dopo mezz'ora circa, infatti, arrivò una Mercedes bianca, da cui scesero Pauly, il guardalinee e qualche ragazza, accompagnati dai dirigenti della Stella Rossa. L'arbitro mi vide e ci scambiammo uno sguardo che significava 'so cosa stai facendo e tu sai che io ti ho visto', ma ovviamente non dissi nulla. Tornammo in albergo, in vista della partita del giorno seguente, in cui si ripartiva dal primo minuto e dallo 0-0".

Ha qualche aneddoto curioso di quella serata storica per tutti i tifosi milanisti?
"Per farla breve la partità terminò sul punteggio di 1-1 dopo i regolamentari, quindi si andò ai calci di rigore. E qui devo svelarvi un altro aneddoto curioso: il quarto rigore avrebbe dovuto tirarlo Cappellini, subentrato nei supplementari a Mannari, e così c'era scritto sulla lista consegnata all'arbitro. Sacchi aveva indicato come quarto rigorista il giovane 17enne, che però non aveva avuto il coraggio di dire che non se la sentisse. In realtà sul dischetto al quarto rigore si presentò Rijkaard, con il Milan avanti 3-4 come risultato complessivo con Pauly che incredibilmente non disse nulla: gol e passaggio del turno per noi, con quelli della Stella Rossa che non erano ovviamente a conoscenza di chi fossero i rigoristi designati. A fine partita mi avvicinai a Frankie (Rijkaard, ndr) e gli chiesi spiegazioni. Mi disse: 'All'inizio non volevo tirarlo, poi mi sono reso conto che se l'avesse sbagliato Cappellini sarebbe finita la sua carriera. Invece io sarei rimasto comunque Frank Rijkaard'. Fu davvero un'esperienza incredibile quella due giorni".

Dopo aver parlato dei momenti più felici al Milan, una piccola parentesi la vogliamo dedicare anche al momento che vorrebbe cancellare dalla sua memoria di ex dirigente rossonero.
"Quello che ricordo con meno piacere risale al 1991, Marsiglia-Milan, quando il Milan uscì dal campo e si spensero le luci. E' un po' lungo come racconto, ma ne vale la pena, perchè nessuno ha mai avuto il coraggio di raccontare come andò realmente. Fu un errore generale, generato anche da qualche furbizia da parte del Marsiglia, in cui tutti abbiamo avuto delle responsabilità. Noi dovevamo giocare il ritorno al Velodrome dopo aver fatto 1-1 a Milano. Il Marsiglia aveva un'organizzazione importante ai tempi, perchè il presidente Tapie era anche presidente dell'Adidas, uno dei grandi sponsor della UEFA. Si può dire che, prima che venissero alle luce tutte le sue magagne, Tapie era un po' il Berlusconi di Francia. Qualche giorno prima della partita mi chiamò Uli Hoeness (ai tempi dg del Bayern Monaco, ndr), con i quali avevo dei rapporti meravigliosi, specificando che fosse una telefonata riservata e mi disse: 'Ti faccio questa confidenza solo perchè siamo amici, mi ha chiamato Beckenbauer (dt del Marsiglia, ndr) avvisandomi che stanno preparando delle cose poco simpatiche per il Milan in Francia, con anche il pericolo che ci possa essere qualche contaminazione del cibo in albergo destinato ai giocatori'. Io mi occupavo anche dell'organizzazione logistica e così decisi, senza dire veramente nulla a nessuno tranne a Galliani, di cambiare hotel ad una settimana dalla partita. Nemmeno i giocatori e l'autista sapevano di questo cambio. Pensa che Maldini, dopo un quarto d'ora dall'arrivo in albergo, mi disse che Adriana (attuale moglie dell'ex capitano, ndr) stava provando a chiamare l'albergo, ma che non riusciva a trovarlo, perchè lei in realtà aveva il numero di quello che doveva essere l'hotel originario. La sera andammo al campo per l'allenamento alla vigilia della partita e trovammo i cancelli del Velodrome chiusi. Dopo un po' riuscimmo a farci aprire, ma i palloni sembravano scomparsi - non erano nemmeno stati mandati a Milanello una settimana prima della gara come da prassi - e vidi che c'erano un po' di persone che stavano lavorando nel fossato interno attorno al campo. Al momento non ci feci troppo caso, ma il giorno dopo questo particolare si rivelerà fondamentale per capire cosa successe realmente. Alla fine saltarono fuori i palloni e facemmo una breve rifinitura. Il giorno della partita, nel momento in cui il Marsiglia era avanti 1-0 e mancavano tre minuti alla fine della gara, Waddle si trascinò il pallone sul fondo, l'arbitro Bo Karlsson fischiò e fece un gesto con le braccia che si poteva interpretare come la fine della gara. I giocatori del Marsiglia cominciarono a festeggiare, noi pensammo che la partita fosse finita. Io, francamente, che non stavo guardando l'orologio, vidi che nel frattempo stavano iniziando ad entrare in campo i vari soggetti che sono attorno al campo, dai poliziotti marsigliesi che festeggiavano ai fotografi. Ramaccioni mi guardò e mi disse che non era ancora finita la partita e di andare ad avvisare l'arbitro che mancavano ancora tre minuti. Karlsson mi disse che ne era consapevole e io gli feci notare la confusione che c'era in campo in quel momento e che non si poteva continuare in quelle condizioni. Nel frattempo i giocatori del Milan si stavano scambiando le maglie con quelli del Marsiglia, con il pubblico del Velodrome che era in festa. Mentre stavamo facendo questi ragionamenti, si spense completamente uno dei quattro piloni con i riflettori. Karlsson a quel punto mi disse che le squadre dovessero rientrare negli spogliatoi, che avrebbero liberato il campo e poi si sarebbe finita la partita. Ci avviammo per andare negli spogliatoi - a cui si accedeva tramite una botola dietro la porta del Marsiglia - ma la botola non si aprì perchè probabilmente era chiusa dall'interno o per la troppa confusione che c'era sul campo. A quel punto rimanemmo tutti lì attorno nel mezzo di un casino generale in cui Papin - che sarebbe poi venuto da noi l'anno successivo - ci stava sputando addosso e con il Velodrome che ci urlava di tutto. I fari a quel punto cominciarono a riaccendersi piano e piano e l'arbitro disse di ricominciare la partita. Tanto è vero che chi guarda il filmato, vede che io e Beckenbauer stiamo tornando verso la panchina, parlottando tra di noi - io non gli ho mai detto che sapevo tutta la storia che mi aveva rivelato Hoeness al telefono - e Gullit si sta rimettendo la maglia per poter rigiocare. In quel momento entrò Galliani in campo - che non era riuscito ad arrivare sul terreno di gioco attraverso gli spogliatoi, ma passando tra il pubblico di casa inferocito - e quello fu un errore.

Continui pure.
"Chi era in campo aveva la facoltà di decidere - giusto o sbagliato che fosse - non c'era bisogno che scendesse lui dalla tribuna. Una volta entrato in campo disse che non c'era sicurezza e di uscire dal campo immediatamente. Improvvisamente si aprì la botola degli spogliatoi e la maggior parte della squadra scese giù. Nel frattempo dagli spalti arrivò in campo l'avvocato Cantamessa che mi disse di dire alla squadra e a Galliani di non andar via, ma ormai era tardi. Karlsson rimise il pallone nel punto per battere il calcio di rinvio dal fondo, ma in campo a quel punto c'era solo il Marsiglia e fischiò la fine della partita. Negli spogliatoi c'era un'atmosfera pessima con Galliani che diceva: 'era l'unico modo per poterci salvare, non c'era sicurezza'. Io e Cantamessa dicemmo a Galliani che sarebbe stato un problema, perchè la UEFA ci avrebbe squalificato e lui, nervosissimo, ci guardò e rispose: 'Se avete cambiato casacca e lavorate per il Marsiglia andate nell'altro spogliatoio'. A quel punto io andai dal delegato UEFA, Senes Erzik, e gli chiesi cosa si potesse fare. Lui non potè far altro che farmi capire che la partita era andata in diretta in tv in tutto il mondo e che non avrebbe potuto fare nulla. Ne ho lette di ogni su quella sera, l'unica cosa che posso dire con estrema certezza è che Berlusconi non abbia mai telefonato per ordinare di abbandonare il campo e che non abbia mai digerito quella serata. Nessuno si oppose a Galliani nel momento in cui disse di uscire dal campo, me compreso. Perdemmo la partita 0-3 a tavolino e il Milan fu squalificato per un anno dalle coppe europee. Io all UEFA poi dissi: 'Voi ci state squalificando, e probabilmente avete ragione, ma sappiate che l'arbitro - non a caso connazionale del presidente svedese della UEFA Johansson - non lo ammetterà mai, ma mi disse che saremmo dovuti rientrare negli spogliatoi e non è riuscito ad ottenere quello che mi aveva detto'. Sono in debito della spiegazione degli uomini che armeggiavano il giorno prima nel fossato attorno al campo, che in realtà stavano preparando i fuochi d'artificio da sparare in caso di vittoria dell'OM. L'illuminazione di quel pilone fu spenta volutamente dal responsabile delle luci dello stadio, perchè credette anche lui che la partita fosse finita ed aveva avuto l'ordine di spegnere i riflettori per far partire i fuochi d'artificio
".

Facendo un salto avanti di quasi 20 anni, invece, il Milan gioca in ben altri palcoscenici e non si vede l'ombra di una stabilità a livello societario: qual è il male oscuro dei rossoneri?
"Io parto da un concetto che non è legato strettamente all'attualità, ma è legato al modo di organizzare le cose. Posso dire che se fossi stato io a dover pensare ad una ripartenza del Milan avrei magari coinvolto Maldini e Boban o Leonardo, anche se non è un problema di nomi, però avrei messo a loro disposizione persone con una grande esperienza, che non avrebbero mai fatto loro ombra, ma che avrebbero permesso che Maldini e Boban non andassero allo sbaraglio. Per fare un esempio, un soggetto alla Ramaccioni, alla Braida, ma anche alla Paolo Taveggia, per stare al loro fianco consentendo loro di imparare ciò che non si può imparare in 5 minuti. Io ho imparato tantissimo da Ramaccioni e non mi ha mai fatto ombra. Seconda cosa, non mi è mai piaciuta l'idea e non ho mai creduto che si potesse costituire una società ex novo andando a prendere un puzzle di soggetti, magari anche bravi ognuno nel proprio settore, mettendoli insieme e sperare che tutto funzionasse perfettamente. Quando entrai al Milan ci conoscevamo tutti tra di noi, soprattutto lavorativamente. Com'è stato fatto, invece, comporta i rischi che ci sono a mettere più galli nello stesso pollaio. Se in una società di calcio non funziona la società, puoi avere anche Gesù Bambino in campo, ma non vinci. Prendo il mio esempio: quello che ho fatto io, mica me lo sono inventato. Se quella sera non avessi potuto prendere l'aereo di Berlusconi e farlo andare a prendere Troost per portarlo a Belgrado, Gullit non avrebbe giocato. Non è mica merito mio. Poi c'è un altro aspetto: secondo me il Milan deve mantenere la milanesità in società. Non so come, ma non si può far sì che due squadre come Milan e Inter siano diventati come gli Harlem Globetrotters. E' il modello di business tipicamente americano. Io gli americani li adoro e ho vissuto in USA per due anni, però hanno un enorme difetto, ovvero pensano che il loro sistema, di qualsiasi campo si stia parlando, sia applicabile a livello universale. Non è affatto così, noi in Italia abbiamo una nostra cultura, un nostro modo di vivere, di pensare. Se uno non si mette nella logica di costruire un modello di business tenendo in considerazione questi aspetti, non si va da nessuna parte".